Responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione.

Note in tema di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione.

(Pietro Bisconti – Avvocato)

Recenti decisioni dei giudici amministrativi [1] finiscono sempre più per consolidare un nuovo orientamento giurisprudenziale che riconosce la sussistenza di una responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, a seguito dell’apertura  delle SS. UU. della Cassazione, con la nota sentenza n. 500/99.

Il riconoscimento di una responsabilità della P.A. per culpa in contrahendo ha origini recenti ed è avvenuto in base ad argomenti non sempre univoci.

Tale incertezza non è derivata solamente dallo storico favor nei confronti dell’azione amministrativa che la metteva al riparo da censure e sanzioni derivabili dal codice civile. E’ anche la conseguenza di una oggettiva difficoltà di inquadramento sistematico dell’istituto di natura civilistica.

Sebbene l’art. 1337 c.c. imponga alle parti, nelle trattative e nella formazione del contratto, di comportarsi secondo buona fede, manca nel nostro ordinamento un definizione esaustiva di <<buona fede>>, tanto che il lavoro degli interpreti si è fino ad oggi concentrato sulla identificazione della natura della responsabilità cui la norma in questione dà origine.

La giurisprudenza civile individua nel recesso ingiustificato dalle trattative la figura sintomatica per accertare la responsabilità precontrattuale [2].

Una volta accertato che si è verificato l’affidamento di una delle parti nella conclusione del contratto, per rinvenire una ipotesi di responsabilità precontratuale è necessario dimostrare che non si è in presenza di una giusta causa di recesso.

Infatti, nel caso di recesso di una delle parti dalle trattative, al fine della configurabilità di una sua responsabilità, è necessario valutare se il recesso si configuri come illecito abuso del recedente, per averlo esercitato a causa di condizioni ostative alla stipula dl contratto già allo stesso note o dallo stesso conoscibili con l’ordinaria diligenza, ovvero sia stato o meno determinato da comportamenti della controparte, derivandone, in siffatta evenienza, l’insussistenza della responsabilità precontrattuale del recedente [3].

Autorevole dottrina [4] ritiene, che per affermare la sussistenza della responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1337 c.c., è necessario che concorrano tre elementi fondamentali, costitutivi della fattispecie considerata dalla norma: 1) l’affidamento, fondato su elementi obiettivi ed inequivoci, di una delle parti circa la conclusione del contratto; 2) il recesso ingiustificato dell’altra parte che ha preso parte alle trattative, vale a dire il recesso che sia effetto di mala fede o, comunque, non determinato dal comportamento dell’altra parte; 3) il danno risarcibile, consistente nel c.d. interesse negativo, che comprende le spese sostenute in previsione della stipula del contratto.

In assenza di una previsione normativa contraria, il divieto di agire slealmente, nella previsione del legislatore del 1942, era diretto sia ai privati, sia alle pubbliche amministrazioni.

Per lungo tempo, però, prevalse l’opinione contraria. Tale opinione traeva fondamento da un equivoco: il controllo sulla giusta causa (di recesso) era visto come un controllo sull’opportunità e sul modo di esercizio del potere di recesso e, pertanto, si negava che l’autorità giudiziaria ordinaria potesse sindacare il recesso dalle trattative operato dalla P.A..

I limiti teorici della culpa in contrahendo della pubblica amministrazione emergono più chiaramente nell’ambito dei pubblici appalti, materia dove si rinvengono la gran parte delle pronunce dei giudici amministrativi.

L’evoluzione giurisprudenziale nella materia in argomento è stata lenta e travagliata.

Del resto, la stessa dottrina, almeno fino alla fine degli anni ’50, riteneva che non si potesse affermare la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione per due motivi: 1) la P.A. non poteva, nel corso della sua attività, compiere atti illeciti; 2) l’indagine del giudice ordinario, al fine di accertare la responsabilità, sarebbe divenuto un sindacato giudiziale sulle modalità di esercizio da parte della P.A. dei propri poteri discrezionale.

Con la sentenza n. 1675/61 le SS. UU. della Cassazione riconobbero per la prima volta la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, affermando che compito del giudice di merito non è quello di valutare se il soggetto amministrativo sia stato un corretto amministratore, bensì se sia stato un corretto contraente.

Il limite fondamentale di questa prima importante pronuncia fu quello di ritenere sussistente la culpa in contrahendo della P.A. solo in caso di recesso, senza giustificato motivo, da una trattativa privata, cioè solo ne caso in cui la pubblica amministrazione si spoglia dei propri poteri pubblicistici ed opera come un qualunque altro soggetto.

Per i contratti ad evidenza pubblica, invece, la giurisprudenza continuava ad operare di distinguo, in particolare se l’illecito era avvenuto prima o dopo l’aggiudicazione.

Ritenevano i giudici che la responsabilità poteva essere affermata solo dopo l’aggiudicazione di una gara, perchè solo in questo caso il privato veniva ad essere considerato titolare di un vero e proprio diritto soggettivo affinchè la P.A. concluda il contratto [5].

Nell’altra ipotesi, cioè dell’illecito commesso prima dell’aggiudicazione, la giurisprudenza non era univoca, essendovi due differenti posizioni.

La prima, minoritaria, riscontrava anche in questa ipotesi la lesione di un vero e proprio diritto soggettivo del concorrente alla gara e ne faceva discendere la risarcibilità del danno a titolo di responsabilità precontrattuale [6].

La seconda, maggioritaria, sosteneva diversamente che, fino all’aggiudicazione il partecipante alla gara fosse titolare esclusivamente di un interesse legittimo alla regolarità del procedimento, dunque di una posizione soggettiva sfornita di tutela risarcitoria [7].

La seconda svolta teorica sul tema, viene introdotta dalle Sezioni Unite della Cassazione con la nota sentenza n. 500/1999, secondo cui il disposto dell’art. 2043 c.c. prevede la risarcibilità di un danno non più solo lesivo dei diritti soggettivi, bensì anche <<all’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo di ricollega>>.

La lunga e complessa evoluzione, sia giurisprudenziale che dottrinaria, in tema di responsabilità precontrattuale si può così riassumere: 1) danno ingiusto come lesione di un diritto assoluto; 2) danno ingiusto come lesione di un diritto soggettivo, anche relativo; 3) danno ingiusto come lesione di un interesse, anche se non protetto come diritto soggettivo [8].

La novità portante della sentenza n. 500/99 sta ne fatto di ricollegare la risarcibilità del danno non più alla sussistenza di una lesione all’interesse legittimo a che la P.A. svolga il procedimento (la gara) in modo regolare, bensì alla sussistenza di una lesione: all’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si ricollega.

Le due posizioni si differenziano notevolmente.

L’interesse legittimo, infatti, nel caso di specie è l’interesse legittimo pretensivo del partecipante alla gara ad ottenere una espansione della propria sfera giuridica quale conseguenza di un corretto esercizio, da parte della P.A., dei propri poteri.

L’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si ricollega può, invece, configurarsi come l’interesse a che la P.A., come qualunque altro soggetto, si comporti correttamente e secondo buona fede nelle fasi precedenti e funzionali alla stipula vera e propria.

La differenza rispetto al passato, in ordine alla configurabilità della responsabilità ex art. 137 c.c., non potrebbe essere maggiore.

Prima, non essendo risarcibile la lesione dell’interesse legittimo, per configurare un illecito quale conseguenza della illegittima condotta della P.A. era necessario “inventare” un diritto soggettivo in capo all’aspirante contraente.

Ora, dopo la sentenza n. 500/99 non è più necessario.

Anche prima, ed a prescindere dall’aggiudicazione, la posizione dell’aspirante contraente di fronte alla P.A. è assimilabile – al fine del risarcimento del danno per culpa in contrahendo – alla posizione di fronte ad un qualunque privato.

Se si può affermare la sostanziale equiparazione tra soggetto privato e soggetto pubblico al fine del riconoscimento della condanna ex art. 1337 c.c., la stessa equiparazione non è possibile farla per quanto riguarda il quantum debeatur.

Come è noto, la regola generale in tema di risarcimento dei danni da responsabilità precontrattuale è quella del c.d. interesse negativo, ovvero danni rappresentati dalle spese, dalle perdute occasioni di stipulare altro valido contratto, dall’attività sprecata nelle trattative e sottratta ad altre utili applicazioni [9].

Tutto sommato si tratta di un quantum risarcitorio che nella maggior parte dei casi si riduce a poche centinaia di migliaia di lire atteso che la prova delle mancate occasioni di stipulare altro valido contratto o di quantificare lo spreco dell’attività svolta a quale fine, si presenta come prova diabolica.

Diversa soluzione il legislatore ha predisposto per tutelare la P.A., cioè nel caso in cui sia addebitabile al privato concorrente-contraente la responsabilità precontrattuale.

Infatti, il partecipante ad una gara deve produrre una garanzia, solitamente, nella forma della polizza fidejussoria, pari al 2 per cento dell’importo a base d’asta.

Orbene, se da un lato la pubblica amministrazione può incamerare questa somma a garanzia praticamente a propria discrezione, cioè è essa stessa a stabilire i casi quando è da ritenere responsabile per culpa in contrahendo, dall’altra la predeterminazione della somma a garanzia (per la fase procedimentale e non per la corretta esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto) pone al riparo la P.A. da ogni onere probatorio in ordine ai danni patiti dallo scorretto comportamento precontrattuale del soggetto partecipante. Sarà, infatti, interesse di questo soggetto agire in giudizio per dimostrare la non commissione dell’illecito ovvero a chiedere la condanna della P.A. al pagamento (restituzione) della somma incamerata.

Inoltre, il criterio proporzionale della garanzia del 2 per cento si pone in netto contrasto con la regola generale in tema di risarcimento ex art. 1337 c.c. che è quello del c.d. interesse negativo.

Se consideriamo gli appalti la cui base d’asta supera il miliardo di lire, osserviamo che a fronte di un risarcimento per il privato concorrente di poche centinaia di migliaia di lire, abbiamo un risarcimento per la P.A. di decine di milioni.

L’auspicio è che la giurisprudenza adotti anche per questo caso il criterio del risarcimento per equivalente e non nei limiti dell’interesse negativo.

Se, infatti, il risarcimento dell’impresa aggiudicataria viene determinato, in caso di mancata stipula del contratto e quindi mancata esecuzione dei lavori, in una somma pari al 10 per cento della base d’asta, lo stesso criterio proporzionale – magari nell’equivalente del 2 per cento come per la garanzia – dovrebbe essere adottato per il caso di responsabilità precontrattuale imputabile alla P.A.

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[1] Tar Lombardia – Milano, Sez. III, 31 luglio 2000; Cons. Stato, Sez. V, 12 settembre 2001

[2] Tra le più recenti, Cass. Civ., Sez. II, 14 giugno 1999 n. 5830

[3] Cass. Civ., 29 novembre 198 n. 5920 ; Cass. Civ. 25 ottobre 1973 n. 2757 ; Cass. Civ. 17 giugno 1974 n. 1781

[4] Trattato di diritto privato, Obbligazioni e contratti, Tomo II, diretto da Pietro Rescigno, Torino, 1995, pagg. 463 e ss.

[5] Cass. Civ., Sez. Unite, 5 agosto 1975 n. 2980

[6] Cass. Civ. 28 giugno 1976 n. 2463

[7] Cass. Civ. 29 luglio 1987 n. 6545

[8] F. Galgano, Le obbligazioni ed i con ratti, Tomo II, Padova 1999, pagg. 328 e ss.

[9] Tar Abruzzo – Pescara, 6 luglio 2001 n. 609

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