Brevi riflessioni sulla natura degli interessi.
Brevi riflessioni sulla natura degli interessi.
di Agnese Casillo
Gli interessi, per definizione, sono “prestazioni pecuniarie percentuali e periodiche dovute da chi utilizza un capitale altrui o ne ritarda il pagamento” (1).
Avendo riguardo alla funzione economica assolta, essi possono essere utilmente suddivisi in interessi moratori, compensativi, corrispettivi.
Gli interessi moratori, il cui presupposto è costituito dal ritardo imputabile, hanno funzione risarcitoria, costituendo una liquidazione fortetaria del danno da ritardo nelle obbligazioni pecuniarie.
Gli interessi compensativi, invece, assolvono la funzione remunerativa, rappresentando un compenso dovuto in cambio del vantaggio della disponibilità di una somma di denaro spettante al creditore.
La giurisprudenza riconosce l’esistenza di una ulteriore categoria, gli interessi corrispettivi, da corrispondere sulle somme date a mutuo e sulle somme liquide ed esigibili. Tuttavia, assolvendo anch’essi la funzione remunerativa, la migliore dottrina (2) non ritiene ragionevole ipotizzare un’ulteriore categoria giustapposta a quella degli interessi compensativi.
Appare proficuo, onde addivenire ad una sistematica disamina dell’oggetto di trattazione, effettuare una preliminare distinzione tra obbligazioni di valuta ed obbligazioni di valore, tenendo presente il criterio fornito dalla giurisprudenza per il quale “occorre avere riguardo non alla natura dell’oggetto nel quale la prestazione avrebbe dovuto concretarsi al momento del fatto dannoso, bensì all’oggetto diretto ed originario della prestazione che nelle obbligazioni di valore consiste in una cosa diversa dal denaro, mentre nelle obbligazioni pecuniarie è proprio una somma di denaro” (3).
Le obbligazioni di valuta hanno ad oggetto, sin dal momento genetico, una determinata somma di danaro. Esse sono disciplinate dall’art. 1277 c.c. per il quale “i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale”. Ne deriva che in caso di inadempimento di obbligazioni pecuniarie decorrono gli interessi moratori nella misura legale o nella misura superiore in cui, eventualmente, erano già dovuti prima della mora stessa. Ai sensi del primo comma dell’art. 1124 c.c., gli interessi si producono automaticamente, senza alcun onere di prova da parte del creditore, con decorrenza dal primo giorno di ritardo nel pagamento. L’automaticità testé enunciata soffre eccezione nei casi di:
§ debiti per fitti e pigioni, i quali, ex art. 1282 secondo comma c.c., producono interessi solo dalla formale costituzione in mora del debitore;
§ legati, obbligazioni da revocatoria, obbligazioni da indebito ricevuto in buona fede, su cui gli interessi decorrono dal giorno della domanda giudiziale.
Il secondo comma dell’art. 1224 c.c. disciplina la richiesta di risarcimento del “maggior danno”. Quest’ultimo, oltre a dover essere oggetto di specifica domanda, deve essere provato. Va precisato che gli interessi moratori ed il risarcimento del maggior danno costituiscono due voci distinte di uno stesso danno. La giurisprudenza ha, difatti, in proposito statuito che il maggior danno “non può esser fatto valere in un autonomo giudizio successivo a quello in cui si sia formato il giudizio sugli interessi, salvo che in quest’ultimo il creditore abbia fatto espressa riserva di agire in separata sede per il maggior danno e il debitore abbia aderito a tale riserva o, comunque, non si sia opposto” (4)
L’applicazione pratica delle suddette norme ha dato origine a numerosi dubbi interpretativi in ordine all’automatica rivalutazione del credito per il periodo di tempo corrispondente alla mora del debitore, che andrebbe quindi ad aggiungersi agli interessi moratori.
La giurisprudenza, onde evitare il verificarsi di un ingiustificato arricchimento in capo al creditore, ha ritenuto di poter concedere la suddetta rivalutazione unicamente nella misura percentuale risultante superiore al tasso legale degli interessi moratori già dovuti (5) ciò in quanto, nei debiti di valuta, non è stato ritenuto ammissibile il cumulo degli interessi e della rivalutazione in considerazione della medesima funzione da entrambi assolta (6).
In ordine all’onere della prova incombente sul creditore per il caso di maggior danno da svalutazione, in un primo momento si richiedeva la specifica prova da parte del creditore del puntuale investimento del denaro che, in caso di tempestivo adempimento, ne avrebbe salvaguardato il potere di acquisto (7).
Successivamente, e questa appare oggi la tesi prevalente, la giurisprudenza si è attestata su una posizione intermedia stabilendo che il creditore che non si ritenga ristorato dagli interessi legali ha l’onere di allegare e provare, anche in via presuntiva, la propria appartenenza ad una categoria economica – si pensi ad esempio all’imprenditore, al risparmiatore abituale, al risparmiatore occasionale ovvero al modesto consumatore – in modo da far ritenere probabile che l’immediata disponibilità di denaro avrebbe comportato un proficuo investimento. L’imprenditore che, ad esempio, dimostri il proprio costante o crescente volume d’affari, può ottenere il risarcimento del maggior danno, sia a titolo di danno emergente pari al costo del denaro per il periodo di mora, sempre che provi di avere corrisposto interessi a tasso superiore a quello legale, che, a titolo di lucro cessante, pari alla redditività media dell’investimento nell’attività produttiva esercitata, sempre che nel periodo di mora l’impresa sia stat
Gli interessi compensativi nelle obbligazioni di valore.
Le obbligazioni di valore hanno, invece, ad oggetto una prestazione di dare diversa dal denaro. Quest’ultimo subentra alla prestazione originaria solo nella fase patologica del rapporto giuridico, e solo in subordine all’impossibilità di richiedere l’adempimento in forma specifica.
La variegata casistica delle fattispecie sussumibili all’interno di siffatta categoria spazia dal risarcimento del danno (sia contrattuale che extracontrattuale) all’indennizzo dovuto per arricchimento senza causa (art. 2041).
Diversamente dalle obbligazioni di valuta, esse sono sottratte al principio nominalistico. Ne deriva l’automatica rivalutazione del credito, senza alcun onere della prova incombente sul creditore, in considerazione “dell’esigenza di reintegrare il patrimonio del creditore di una somma pari, al momento della liquidazione (taxatio) al potere d’acquisto espresso da quella equivalente entità del danno al momento del suo verificarsi (aestimatio)” (9).
Il problema che ha maggiormente suscitato vivaci discussioni sia in ambito dottrinario che giurisprudenziale è costituito dalla possibilità o meno di cumulare, nei debiti di valore, la rivalutazione con gli interessi compensativi.
In un primo momento, forzando notevolmente il dato letterale ed i rispettivi ambiti di applicazione, la giurisprudenza ha tentato di equiparare i debiti di valore ai debiti di valuta, giungendo alla conclusione che gli interessi sui debiti di valore decorrevano solo dalla data di liquidazione.
Successivamente, si è ritenuto di dover propendere a favore del cumulo della rivalutazione e degli interessi compensativi in ragione della differente funzione rispettivamente assolta. La rivalutazione, difatti, in ossequio alla funzione risarcitoria, copre il danno emergente, ripristinando la situazione patrimoniale del creditore al momento del verificarsi dell’inadempimento ovvero del fatto illecito, laddove gli interessi, aventi funzione remunerativa, mirano a ristorare il creditore del lucro cessante, coprendo i danni derivati dalla perdita dell’utilità che il danneggiato avrebbe ottenuto dal bene reale.
In ordine alla decorrenza degli interessi compensativi bisogna distinguere a seconda che si sia in presenza di:
Ø illecito extracontrattuale: gli interessi vanno calcolati dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso. Trova, difatti, applicazione, il disposto di cui al secondo comma dell’art. 1219 c.c. per il quale la mora è automatica (mora ex re);
Ø illecito contrattuale: gli interessi decorrono dal giorno della domanda giudiziale ovvero dalla notifica dell’atto di accesso agli arbitri. Ciò in quanto si richiede un atto idoneo a costituire in mora il debitore (mora ex persona), trovando applicazione, in questo caso, l’art. 1182 c.c. terzo comma per il quale l’obbligazione va adempiuta al domicilio del debitore.
Altro punto controverso è costituito dalla base di calcolo su cui vanno applicati gli interessi in parola. Sul punto si registra un’evoluzione del pensiero della giurisprudenza di legittimità che può riassumersi schematicamente seguendo tre filoni interpretativi succedutisi nel tempo e culminanti nella pronuncia a Sezioni Unite della Suprema Corte del 17.02.1995 n. 1712.
Sino alla pronuncia del 1991, al creditore venivano riconosciuti, oltre alla rivalutazione, anche gli interessi sulla somma integralmente rivalutata (10). Siffatta modalità di calcolo è stata successivamente posta in discussione e superata dall’arresto della Cassazione civile, sezione I, 20.11.1991 n. 12432 che in proposito ha stabilito: “gli interessi che vengono a maturare sulla somma soggetta a rivalutazione devono essere calcolati tenendo conto che la rivalutazione ha natura progressiva, pertanto vanno calcolati non più sull’importo rivalutato della stessa, corrispondente al valore finale, bensì rapportandoli inizialmente al valore del bene al momento della fattispecie acquisitiva e quindi ai successivi mutamenti del valore di acquisto della moneta, in quanto l’utilità perduta dal creditore per effetto del ritardo nell’adempimento e compensata dagli interessi non è pari né a tale valore né a quello iniziale, ma subisce un incremento via via crescente per effetto dell’inflazione, sicché il punto di riferi
L’evidente contrasto interpretativo è stato risolto dalla sentenza a Sezioni Unite della Suprema Corte del 17.02.1995 n. 1712 (11), la quale, riprendendo la già richiamata distinzione tra taxatio ed estimatio, ha ritenuto di dover propendere a favore della tesi che considera quale base di calcolo il valore del bene al momento dell’illecito rivalutato anno per anno, giacché solo in tal modo può addivenirsi al pieno ristoro del pregiudizio subito, evitando, al contempo, l’ingiustificato arricchimento. Siffatto orientamento può oggi ritenersi consolidato in quanto costantemente richiamato ed applicato dalle successive applicazioni giurisprudenziali (12).
La citata pronuncia delle Sezioni Unite (13) si segnala, inoltre, per aver stabilito che “il danno subito per la mancata tempestiva corresponsione dell’equivalente pecuniario del bene danneggiato deve essere allegato e provato dall’attore”, in ciò disattendendo il precedente orientamento che consentiva la liquidazione degli interessi compensativi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno anche ex officio (14).
In ordine al tasso di interesse da applicare, considerando che il danno in questione può essere liquidato in base al criterio equitativo, la sua determinazione è rimessa alla discrezionalità del giudice, il quale potrà considerare congruo il tasso d’interesse legale, ovvero una misura maggiore o minore a seconda della fattispecie concreta.
In proposito, v’è, però, da rilevare che le questioni insorte in passato in ordine alla percentuale da applicare agli interessi compensativi erano addebitabili principalmente alle continue oscillazioni del tasso di interesse legale (15).
Tuttavia, un recente arresto della Suprema Corte, stabilendo che “correttamente la Corte d’Appello ha rapportato gli interessi compensativi al tasso legale nel pieno rispetto del consolidato (e condiviso) indirizzo di questa Corte secondo cui gli interessi compensativi devono essere quantificati come il tasso legale salvo diverso patto contrattuale”, ha confermato la pacifica applicazione del tasso legale anche agli interessi aventi funzione remunerativa.
Note bibliografiche:
1) L’inciso è tratto da BIANCA, IV, Le obbligazioni, pag. 174 ss. La giurisprudenza conformemente considera gli interessi “prestazioni accessorie, omogenee rispetto alla prestazione principale che si aggiungono ad essa per effetto del decorso del tempo e che sono commisurate ad un’aliquota della stessa”, cfr. Cass. civ. 2.10.1980 n. 5343 in Giur. It., I, 1, 1079.
Sul punto cfr. BIANCA, La responsabilità, pag. 190 ss. L’Autore rileva, inoltre, che nel codice civile del 1942 gli interessi corrispettivi non sono menzionati.
2) Così Coll. Arb. 19.01.1988 in Arch. Giur. oo. pp. 1988, 1639.
3) Cfr. Cass. civ. 2.2.1995 n. 1254 in Rep. Foro It., 1995, Voce danni civili, n. 309.
4) Così Cass. civ. 1.07.1995 n. 7345 per la quale il maggior danno corrisponde “a quella parte della perdita che eccede la misura forfettariamente stabilita per gli interessi moratori”.
5) Sul divieto di cumulo si vedano Cass. civ. 14.11.1988 n. 260 in Foro it., 1988, I, 384; Cass. civ. 16.07.1992 n. 8663 in Giur. It. 1993, I,1, 1962 con nota di De Benedetti.
6) Cfr. Cass. civ. 19.10.1977 n. 4463 in Foro It. 1978, I, 336, con nota di AMATUCCI.
7) Sul punto Coll. Arb. 16.10.1992 in Rep. Foro it., 1995, Voce Danni civili n. 306.
8) Cfr. Trib. Roma 30.06.1987 in Giust. Civ. 1988, I, 1045, con nota di Attolico.
9) Cfr. per tutte Cass. civ. 13.11.1989 n. 4791, in Rep. Foro. It., 1989, voce “Danni civili”, n. 282; Cas. Civ. 28.12.1994, n. 11257, in Mass., 1103).
10) La sentenza citata è stata oggetto di commento del professor Ugo Grassi, ordinario di Diritto Civile dell’Università di Napoli, pubblicato in Rassegna di diritto Civile, 1993, 441. Il Prof. Grassi espose la formula matematica da lui elaborata che prendeva in considerazione il giorno quale unità temporale per il calcolo della rivalutazione, contrariamente all’arco di tempo annuale indicato dalla giurisprudenza.
11) Cfr. Cass. civ. 09.10.1997 n. 9810 in Giur. It. 1998, I, 1, 1096, con nota di Forchino; Cas. Civ. 03.12.1997 n. 12262 in Foro. It., 1998, I, 2829 con nota di Lambo.
12) La citata sentenza è pubblicata in Foro it. 1995, col. 1470 ss. con note di DE MARZO e VALCAVI. In particolare il DE MARZO avanza la seguente soluzione: “è evidente che la via per una omogeneizzazione della disciplina va rinvenuta nella rimeditazione del fondamento della categoria dei debiti di valore . Se si ammette che una cosa è il danno da ritardo nella prestazione dell’equivalente, viene meno, in realtà, la forza decisiva dell’obiezione che valorizza il mancato richiamo dell’art. 1224 c.c. ad opera dell’art. 2056 c.c. (che concerne la prima voce di danno e non la seconda) e si apre la strada ad un trattamento unitario di tutte le obbligazioni che si estinguono attraverso la corresponsione di una somma di denaro”.
Il VALCAVI, invece, criticamente osserva che “le Sezioni Unite, nel passo in cui pretendono di giustificare la rivalutazione con il motivo che essa sarebbe finalizzata a conservare immutato il valore originario del bene, suppongono (contro ogni evidenza) che esso abbia a conservarsi immutato per una durata di vita praticamente illimitata e così sia sottratto al fenomeno della sua morte fisica e della sua obsolescenza economica”.
13) In tal senso si esprimeva Cass. civ. 05.12. 1994, n. 10433, Foro. It., Mass. 1007.
14) Sul punto cfr. QUADRI, La modificazione el saggio degli interessi legali, in Nuove leggi civ., 1990, 1424.
15) Cfr. Cass. civ., sez. II, sent. n. 14.02.00 n. 1622. In tal senso cfr. anche Cass. civ. n. 7775 del 03.08.1990 nonché Cass. civ. sent. n. 15110 del 12.02.1988.