Responsabilità della pubblica amministrazione: il danno da ritardo

La pubblica amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, sia nel caso in cui lo stesso consegua ad un’istanza di parte, che nell’ipotesi in cui debba essere iniziato d’ufficio.

L’azione amministrativa, infatti, necessita di essere circoscritta nel tempo, non potendo essere protratta sine die, al fine di fornire margini di certezza nei confronti dei soggetti che interagiscono con la pubblica amministrazione.

Il quadro normativo

L’art. 2 della L. 241/1990 prevede non solo l’obbligo di concludere i procedimenti entro tempi prestabiliti, ma anche le conseguenze di eventuali ritardi, introducendo la responsabilità amministrativa per inosservanza dolosa o colposa dei termini.

Mediante la suddetta norma, infatti, è stata prevista in capo alla p.a. una responsabilità per l’ipotesi di inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

Occorre, tuttavia, soffermarsi su taluni aspetti di carattere sostanziale in ordine alla natura del danno risarcibile quale conseguenza del ritardo nella conclusione del procedimento, nonché i rimedi apprestati dall’ordinamento per ottenerne il risarcimento.

I danni risarcibili

È possibile individuare tre sottocategorie di danno risarcibile:

  1. danno derivante dall’adozione tardiva di un provvedimento legittimo ma sfavorevole al destinatario;
  2. danno derivante dall’adozione tardiva del provvedimento richiesto favorevole all’interessato;
  3. danno da inerzia della p.a.

Per tale ultima tipologia, secondo quanto previsto dagli articolo 30 e 117 del codice del processo amministrativo, il privato può ottenere, quale forma di risarcimento in forma specifica, l’emanazione del provvedimento espresso, rimanendo – peraltro – sempre attivabile la tutela risarcitoria per equivalente, atteso il concretizzarsi di un ritardo nell’azione amministrativa. Rimane, tuttavia, onere della parte addurre non solo la circostanza in sè del ritardo, ma allegare anche fatti ed elementi tali da dimostrare l’esistenza dell’elemento psicologico del dolo o della colpa, rendendo così l’inerzia imputabile alla P.A.

In tal senso, alla luce del disposto di cui all’art. 30 del Codice del Processo amministrativo, il privato può attivare un espresso giudizio per il risarcimento del danno che risulti essere conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, proponendo la relativa azione entro il termine di 120 giorni dal momento in cui viene concluso il procedimento, ovvero entro un anno dalla scadenza del termine normativamente previsto.

Sembrerebbe, dunque, che le ipotesi per cui può essere richiesto un risarcimento danni per il ritardo siano distinguibili nel “danno da ritardo puro” e nel “danno da ritardata soddisfazione del bene della vita ambito”.

Le ipotesi di risarcimento previste dall’art. 2 bis della L. 241/1990

L’art. 2 bis  della L. 241/1990 prevede due distinte ipotesi di risarcimento del danno:

L’art. 2 bis, co.1, prevede la possibilità di risarcimento del danno da ritardo/inerzia dell’amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo non già come effetto del ritardo in sé e per sé, bensì per il fatto che la condotta inerte o tardiva dell’amministrazione sia stata causa di un danno altrimenti prodottosi nella sfera giuridica del privato che, con la propria istanza, ha dato avvio al procedimento amministrativo.

Il danno prodottosi nella sfera giuridica del privato, e del quale quest’ultimo deve fornire la prova sia sull’an che sul quantum, deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell’amministrazione.

In particolare, il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante).

Perché, dunque, possa parlarsi di una condotta della pubblica amministrazione causativa di danno da ritardo, oltre alla concorrenza degli altri elementi costitutivi della responsabilità ex art. 2043 c.c., occorre che esista, innanzi tutto, un obbligo dell’amministrazione di provvedere entro un termine definito dalla legge a fronte di una fondata posizione di interesse legittimo ad ottenere il provvedimento tardivamente emanato. E tale obbligo di provvedere sussiste, ai sensi del comma 1 dell’art. 2 L.. 241/1990, laddove vi sia un obbligo di procedere entro un termine definito (“ove il provvedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio.”).

Al contempo, deve ritenersi che – sussistendo i suddetti presupposti – il danno da ritardo, di cui all’art. 2 bis della L. 241/1990, può configurarsi anche nei casi in cui il procedimento debba essere avviato di ufficio (e, dunque, vi sia l’obbligo di concluderlo).

Ciò si desume, oltre che da ragionevoli argomentazioni di ordine generale, dalla evidente differenza letterale tra i primi due commi dell’art. 2 bis, dove solo il secondo di essi (co. 1 bis), si riferisce espressamente al procedimento ad istanza di parte. Ma, in questo caso, occorre sia la chiara previsione normativa di un termine per l’avvio e per la conclusione del procedimento (supplendo in questo secondo caso, in difetto di previsione, il termine generale di cui all’art. 2, co.2, L. 241/1990), sia l’esistenza di una posizione di interesse legittimo che, come tale, presuppone la natura provvedimentale dell’atto medesimo”.

Richiesta di risarcimento: requisiti e prove necessarie 

L’istituto del danno da ritardo intende porre l’amministrato (tramite la compensazione economica della aspettativa non realizzata) nella stessa situazione in cui questi si sarebbe trovato se l’azione amministrativa fosse stata tempestivamente portata a compimento, distinguendosi dall’illecito extracontrattuale che si muove invece nell’orbita della salvaguardia dello status quo ante (ripristino dell’integrità patrimoniale e riparazione del danno alla persona). Il rimedio, in definitiva, per affinità funzionale, appare classificabile nell’alveo della responsabilità contrattuale (sia pure connotata da una disciplina meno favorevole per l’avente diritto, dettandosi un termine prescrizionale più breve).

Se ne ricava, dunque, la configurabilità del c.d. danno da mero ritardo, operante a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento (ad esempio, il diniego di autorizzazione o di altro provvedimento ampliativo adottato legittimamente, ma violando i termini di conclusione del procedimento).

Pertanto, risulta essere meritevole di ristoro la situazione di lesione del diritto soggettivo, consistente nella situazione di incertezza idonea ad indurre il privato a “scelte” che non avrebbe compiuto se avesse tempestivamente ricevuto, con l’adozione del provvedimento nel termine previsto, la risposta dell’Amministrazione.

Sarà, pertanto, onere del privato fornire la prova, oltre che del ritardo in sé e dell’elemento soggettivo, altresì del rapporto di causalità esistente tra la violazione del termine del procedimento e il compimento di scelte negoziali pregiudizievoli che non avrebbe altrimenti posto in essere.

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