
Patti parasociali: forma, durata e limiti di efficacia
I patti parasociali rappresentano uno strumento essenziale nella governance societaria moderna, consentendo ai soci di regolare i propri rapporti oltre i confini dello statuto sociale. Questi accordi, che trovano spazio sia nelle società per azioni che nelle società a responsabilità limitata, offrono flessibilità nella gestione dei conflitti interni e nella pianificazione delle strategie aziendali. Tuttavia, la loro redazione richiede particolare attenzione ai limiti imposti dal legislatore e dalla giurisprudenza, che negli ultimi anni ha affrontato questioni cruciali relative alla loro validità ed efficacia.
L’evoluzione normativa e giurisprudenziale ha chiarito progressivamente quali clausole siano ammissibili e quali invece violino principi fondamentali dell’ordinamento societario. Le recenti pronunce della Corte di Cassazione hanno fornito importanti indicazioni sulla legittimità di meccanismi come la russian roulette, le opzioni di acquisto e vendita, e i limiti del divieto di patti leonini. Questo articolo analizza il quadro giuridico attuale, offrendo una panoramica completa degli strumenti disponibili e delle problematiche più rilevanti che possono emergere nella pratica professionale.
Il fondamento normativo e la natura degli accordi parasociali
Gli accordi parasociali si collocano nell’area del diritto contrattuale generale, pur producendo effetti rilevanti nella sfera societaria. La loro disciplina specifica per le società per azioni è contenuta negli articoli 2341-bis e seguenti del codice civile, introdotti dalla riforma societaria del 2003, che ha riconosciuto formalmente una prassi già consolidata nella realtà economica.
Questi patti si caratterizzano per la loro natura prettamente obbligatoria: vincolano esclusivamente le parti stipulanti, senza produrre effetti diretti nei confronti della società o modificare le regole organizzative contenute nello statuto. Tale natura distingue nettamente i patti parasociali dalle modifiche statutarie, che richiedono le maggioranze assembleari previste dalla legge e producono effetti verso tutti i soci e verso i terzi.
Il legislatore ha individuato tre categorie tipiche di patti parasociali: quelli relativi all’esercizio del diritto di voto nelle assemblee, quelli che limitano il trasferimento delle azioni o quote, e quelli finalizzati all’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante sulla società. Per ciascuna categoria, la legge prevede una durata massima di cinque anni, salvo rinnovo, con la possibilità di recesso per i patti a tempo indeterminato mediante preavviso.
Nelle società a responsabilità limitata, la disciplina risulta meno rigida rispetto alle società per azioni, non essendo previsti obblighi pubblicitari paragonabili a quelli richiesti per le S.p.A. quotate. Questa maggiore flessibilità si accompagna tuttavia alla medesima esigenza di rispettare i principi cardine del diritto societario, in particolare il divieto di patti leonini e la tutela dei diritti essenziali dei soci.
La giurisprudenza ha precisato che la validità dei patti parasociali si presume, salvo che risultino in contrasto con norme imperative o con principi fondamentali dell’ordinamento societario. Questo orientamento favorevole riflette la volontà di riconoscere ampia autonomia negoziale alle parti, purché vengano rispettati i limiti posti a tutela dell’interesse sociale e dei diritti indisponibili dei soci.
Forma giuridica e modalità di stipulazione degli accordi
Un aspetto fondamentale dei patti parasociali nelle società non quotate riguarda l’assenza di vincoli formali per la loro conclusione. Il legislatore italiano ha optato per un regime di completa libertà di forma, consentendo ai soci di regolare i propri rapporti attraverso qualsiasi modalità contrattuale che ritengano opportuna.
Gli accordi parasociali possono perfezionarsi mediante forma scritta, attraverso dichiarazioni verbali concordate tra le parti, oppure anche per comportamenti concludenti che manifestino in modo inequivoco la volontà di vincolarsi reciprocamente. Questa elasticità formale riflette la natura privatistica di questi strumenti e la volontà del legislatore di non ostacolare la libera iniziativa imprenditoriale con adempimenti eccessivamente gravosi.
Nella pratica professionale, tuttavia, la forma scritta risulta quasi sempre preferibile, non tanto per ragioni di validità quanto per esigenze di certezza probatoria. La redazione di un documento scritto consente di cristallizzare con precisione il contenuto degli impegni assunti, evitando future contestazioni sull’interpretazione degli accordi. Inoltre, la forma scritta facilita la dimostrazione dell’esistenza del patto qualora sia necessario far valere giudizialmente gli obblighi contrattuali.
L’intervento notarile, pur non essendo obbligatorio, può rivelarsi utile in determinate circostanze. L’atto pubblico notarile garantisce la certezza della data di stipulazione e l’identità dei sottoscrittori, elementi che possono acquisire rilevanza in caso di controversie. Tuttavia, occorre distinguere tra la forma necessaria per la validità dell’accordo parasociale in sé, che rimane libera, e l’eventuale forma richiesta per specifici negozi accessori contenuti nel patto. Ad esempio, se l’accordo prevede la costituzione di diritti reali su partecipazioni, sarà necessario rispettare le formalità previste per tali atti.
Per quanto riguarda il contenuto, i patti devono essere indirizzati a regolare stabilmente gli assetti proprietari o la governance societaria. Rientrano in questa definizione gli accordi che disciplinano l’esercizio dei diritti di voto, che impongono limitazioni ai trasferimenti delle partecipazioni, oppure che organizzano l’esercizio coordinato del potere di influenza sulla gestione sociale. Solo quando perseguono tali finalità, i patti rientrano nell’ambito applicativo delle disposizioni codicistiche in tema di durata e pubblicità.
Nelle società a responsabilità limitata, dove manca una disciplina specifica analoga a quella prevista per le società per azioni, si applicano i principi generali dell’autonomia contrattuale. La dottrina e la giurisprudenza concordano tuttavia nel ritenere che, per ragioni di coerenza sistematica, le regole elaborate per le S.p.A. chiuse possano essere estese alle S.r.l., adattandole alle peculiarità di questa forma societaria. Tale applicazione analogica garantisce uniformità di trattamento tra situazioni sostanzialmente omogenee.
Limiti temporali e diritto di recesso
La disciplina della durata costituisce un elemento caratterizzante dei patti parasociali, riflettendo l’esigenza di evitare cristallizzazioni eccessive degli equilibri societari. Il legislatore ha introdotto limiti massimi alla durata degli accordi, bilanciando l’autonomia privata con l’interesse alla dinamicità degli assetti proprietari e di governo delle società.
Per le società per azioni non quotate, il termine massimo di efficacia è fissato in cinque anni. Questa previsione opera come norma imperativa: qualora i soci abbiano pattuito un termine superiore, la durata viene automaticamente ricondotta al quinquennio massimo consentito. Il meccanismo di riduzione legale opera di diritto, senza necessità di alcuna dichiarazione o intervento delle parti o dell’autorità giudiziaria. Al termine del periodo quinquennale, le parti possono liberamente rinnovare il patto, stipulando un nuovo accordo che avrà a sua volta durata massima di cinque anni.
Questa limitazione temporale non si applica indiscriminatamente a tutti i patti tra soci, ma solo a quelli che rientrano nelle categorie tipizzate dal legislatore. Restano esclusi dal limite di durata gli accordi strumentali a collaborazioni produttive o commerciali, quando riguardino società interamente possedute dai partecipanti all’intesa. In questi casi, la funzione del patto non è quella di stabilizzare gli assetti societari, ma di regolare rapporti economici esterni al perimetro della governance.
Quando i soci non abbiano previsto alcun termine di durata, il patto si considera stipulato a tempo indeterminato. In questa ipotesi, per evitare vincoli perpetui incompatibili con i principi ordinamentali, la legge riconosce a ciascun contraente il diritto di recedere liberamente dall’accordo. L’esercizio di questo diritto è subordinato esclusivamente al rispetto di un preavviso minimo di centottanta giorni, pari a sei mesi. Il termine di preavviso inizia a decorrere dal momento in cui la comunicazione di recesso perviene agli altri stipulanti del patto.
Il recesso produce effetti solo per il socio che lo esercita, lasciando inalterato il vincolo contrattuale tra i restanti aderenti all’accordo. Questa regola consente di preservare l’efficacia del patto anche quando uno o più soci decidano di liberarsene, evitando che il recesso individuale determini automaticamente lo scioglimento dell’intero sistema di regole parasociali. Naturalmente, le parti possono pattuire clausole diverse, prevedendo ad esempio che il recesso di determinati soci essenziali comporti la risoluzione dell’intero patto.
Nelle società a responsabilità limitata, sebbene manchino disposizioni specifiche sulla durata dei patti parasociali, si ritiene applicabile per analogia il limite quinquennale previsto per le S.p.A. non quotate. Questa soluzione, condivisa dalla dottrina prevalente, trova giustificazione nella sostanziale identità di ratio tra le due forme societarie quando si tratta di società chiuse. Anche per le S.r.l., quindi, i patti a tempo determinato non possono eccedere i cinque anni, e quelli a tempo indeterminato sono soggetti a recesso con preavviso semestrale.
La disciplina del recesso presenta particolare rilevanza pratica, poiché consente ai soci di adattare dinamicamente la propria posizione all’evoluzione della realtà aziendale. Un socio che ritenga superati gli accordi parasociali in ragione di mutate circostanze può liberarsene rispettando il termine di preavviso, senza necessità di accordo con gli altri contraenti. Questa flessibilità costituisce una valvola di sicurezza che previene situazioni di paralisi decisionale o di eccessivo irrigidimento delle dinamiche societarie.
Trasparenza e riservatezza: la disciplina della pubblicità
La questione della pubblicità dei patti parasociali rappresenta uno degli aspetti più significativi della disciplina, determinando il confine tra accordi riservati e intese soggette a disclosure. Il regime pubblicitario varia radicalmente in funzione delle caratteristiche della società e della sua apertura al mercato del capitale di rischio.
Per le società a responsabilità limitata e per le società per azioni che non fanno ricorso al mercato dei capitali, i patti parasociali mantengono natura strettamente privatistica e non sono soggetti ad alcun obbligo generalizzato di pubblicità. Questi accordi conservano quindi piena riservatezza contrattuale, restando conosciuti soltanto dalle parti stipulanti. Non è previsto l’obbligo di deposito presso il Registro delle Imprese, né esistono altri adempimenti pubblicitari imposti dalla legge.
Questa scelta normativa riflette la considerazione che, nelle società chiuse, l’esigenza di tutela dei terzi e del mercato risulta meno pressante rispetto alle società aperte. I soci possono quindi regolare i propri rapporti in modo riservato, senza che gli accordi parasociali debbano essere portati a conoscenza di soggetti esterni alla cerchia degli stipulanti. La riservatezza può rappresentare un vantaggio strategico significativo, consentendo alle parti di organizzare la governance societaria senza rivelare all’esterno gli equilibri interni o le strategie concordate.
Nella pratica, i soci potrebbero comunque optare volontariamente per forme di pubblicità degli accordi, ad esempio mediante deposito volontario presso il Registro delle Imprese o comunicazione alla società. Tali scelte, tuttavia, rispondono a valutazioni di opportunità e non a obblighi normativi. La forma scritta del patto, quando adottata, può essere utilizzata per garantire data certa attraverso registrazione o autentica notarile, ma anche in questo caso non si tratta di adempimenti necessari per la validità dell’accordo.
La situazione muta radicalmente per le società per azioni che, pur non essendo quotate in mercati regolamentati, fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Per queste società, qualificate come ad azionariato diffuso, il legislatore ha introdotto un articolato sistema di pubblicità previsto dall’art. 2341-ter c.c. Gli obblighi imposti mirano a garantire trasparenza sugli accordi che possono condizionare la governance societaria e gli assetti proprietari.
Il sistema pubblicitario si articola in una sequenza di adempimenti concatenati. Innanzitutto, i patti devono essere comunicati alla società, che ne viene così a conoscenza ufficiale. In occasione di ciascuna assemblea, deve essere resa una dichiarazione in apertura dei lavori sulla sussistenza ed esistenza dei patti parasociali. Tale dichiarazione viene trascritta nel verbale assembleare, che a sua volta deve essere depositato presso l’Ufficio del Registro delle Imprese competente per territorio.
L’omissione di questi adempimenti comporta conseguenze significative. La mancata dichiarazione in assemblea determina la sospensione del diritto di voto relativo alle azioni oggetto del patto. Se le deliberazioni vengono adottate con il contributo determinante dei voti sospesi, tali delibere sono impugnabili secondo le regole ordinarie sull’invalidità delle delibere assembleari. Questa sanzione persegue una duplice finalità: da un lato, incentiva l’adempimento degli obblighi pubblicitari; dall’altro, tutela i soci che partecipano all’assemblea garantendo loro la conoscenza degli accordi parasociali esistenti.
È importante sottolineare che la violazione degli obblighi di pubblicità previsti dal codice civile per le società ad azionariato diffuso non comporta la nullità del patto, a differenza di quanto previsto per le società quotate dalla disciplina del Testo Unico della Finanza. La sanzione si limita alla sospensione del diritto di voto e all’impugnabilità delle delibere viziate, lasciando intatto il vincolo contrattuale tra gli stipulanti sul piano meramente obbligatorio.
Questa differenziazione tra società chiuse e società ad azionariato diffuso riflette un bilanciamento ragionevole tra autonomia privata ed esigenze di trasparenza. Mentre nelle prime prevale l’interesse alla riservatezza degli accordi tra soci, nelle seconde emerge la necessità di tutelare gli azionisti di minoranza e garantire trasparenza informativa su intese che possono influenzare significativamente l’andamento della società.
Le clausole di roulette russa: equilibrio tra le parti
Uno degli strumenti più discussi nella prassi negoziale è rappresentato dalla clausola di roulette russa, un meccanismo anti-stallo che trova origine nella pratica anglosassone. Il suo funzionamento prevede che un socio formuli un’offerta di acquisto delle partecipazioni dell’altro a un prezzo determinato, lasciando al destinatario la scelta alternativa: accettare di vendere le proprie quote al prezzo indicato, oppure acquistare le quote dell’offerente al medesimo prezzo.
La validità di questa clausola è stata confermata dalla Suprema Corte con importanti pronunce che hanno sgombrato il campo da dubbi interpretativi. Il meccanismo è stato ritenuto legittimo in quanto garantisce un equilibrio strutturale tra le parti: chi formula l’offerta sa che il prezzo proposto potrebbe ritorcersi contro di lui, qualora il destinatario scelga di diventare acquirente anziché venditore. Questa dinamica, definita dalla giurisprudenza come “regola del taglio della torta”, incentiva l’offerente a formulare proposte eque, evitando condizioni opportunistiche.
La Corte di Cassazione ha respinto le obiezioni secondo cui tale clausola violerebbe il divieto di condizioni meramente potestative o integrerebbe un patto leonino. Il primo rilievo è stato superato osservando che la scelta del destinatario non è arbitraria, ma vincolata alle alternative predeterminate dal patto. Quanto al secondo aspetto, i giudici hanno evidenziato che la clausola opera in modo temporaneo e condizionato, senza alterare permanentemente la causa sociale o privare un socio della partecipazione agli utili e alle perdite.
L’analisi comparatistica condotta dalle corti italiane ha mostrato come meccanismi analoghi siano riconosciuti validi in numerosi ordinamenti stranieri, tra cui Stati Uniti, Germania, Francia e Austria. Anche la prassi notarile italiana, attraverso le massime elaborate dai Consigli notarili di Milano e Firenze, ha avallato l’utilizzo di queste clausole, riconoscendone l’utilità nella risoluzione di situazioni di stallo decisionale.
Tuttavia, l’applicazione della roulette russa incontra limiti legati ai principi di correttezza e buona fede. La giurisprudenza ha evidenziato situazioni patologiche in cui il meccanismo potrebbe essere utilizzato in modo abusivo: ad esempio, quando sussista una significativa asimmetria informativa tra i soci, oppure una marcata disparità nelle capacità finanziarie che renda impossibile per una parte esercitare l’opzione di acquisto. In questi casi, il giudice potrebbe sindacare l’esercizio della clausola, verificando se sia stato strumentale o se sia stato creato artificialmente uno stallo per attivare il meccanismo.
La sentenza ha inoltre chiarito che le regole sulla determinazione del valore delle partecipazioni, previste dal codice civile per specifiche ipotesi statutarie, non si applicano ai patti parasociali. La valutazione concordata dalle parti nel patto prevale, non essendo necessario ricorrere a criteri di valutazione “equa” come quelli richiesti in sede di recesso o esclusione del socio.
Opzioni put e call: flessibilità nella pianificazione degli investimenti
Le opzioni di acquisto e vendita rappresentano strumenti contrattuali ampiamente utilizzati nei patti parasociali, specialmente quando vi sia un investitore finanziario che intende garantirsi una via di uscita dall’investimento. L’opzione call attribuisce a un soggetto il diritto di acquistare le partecipazioni altrui a condizioni predeterminate, mentre l’opzione put conferisce il diritto di vendere le proprie quote obbligando l’altra parte all’acquisto.
La legittimità di questi meccanismi è stata confermata dalla giurisprudenza di legittimità, che ha riconosciuto la loro funzione economica legata alle esigenze di liquidità e di pianificazione degli investimenti. Le opzioni sono state considerate valide in quanto creano obbligazioni tra le parti senza alterare la struttura fondamentale del rapporto sociale né violare il divieto di patti leonini.
In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito che le opzioni put e call non contrastano con la normativa imperativa quando sono limitate nel tempo e operano in via condizionata. Il socio che concede un’opzione put, ad esempio, non si sottrae definitivamente al rischio d’impresa, ma accetta un vincolo temporaneo che potrebbe comportare l’obbligo di riacquistare le partecipazioni in determinate circostanze.
Questi strumenti trovano particolare applicazione nei rapporti tra soci operativi e investitori finanziari. Un fondo di private equity che entra nel capitale sociale di una società potrebbe negoziare un’opzione put che gli consenta di uscire dall’investimento dopo un determinato periodo, garantendosi un rendimento minimo. Analogamente, i soci fondatori potrebbero riservare per sé un’opzione call per riacquistare le quote dell’investitore al termine del periodo di partnership.
La validità delle opzioni richiede tuttavia che siano rispettati alcuni requisiti essenziali. Innanzitutto, il prezzo di esercizio deve essere determinato o determinabile secondo criteri oggettivi previsti nel patto. In secondo luogo, il meccanismo non deve tradursi in una garanzia assoluta contro le perdite che svuoterebbe di significato la partecipazione sociale. Infine, l’opzione deve essere inserita in un contesto contrattuale equilibrato, che non determini situazioni di abuso o di sostanziale elusione delle norme imperative.
La giurisprudenza ha inoltre precisato che le clausole di prelazione e gradimento, pur presentando affinità con le opzioni, hanno natura diversa e rispondono a finalità distinte. La prelazione attribuisce il diritto di essere preferito nell’acquisto rispetto a terzi, mentre il gradimento subordina il trasferimento delle quote all’approvazione degli altri soci. Entrambi questi meccanismi sono ammessi purché non si traducano in un divieto assoluto di alienazione, che sarebbe contrario al principio di libera circolazione delle partecipazioni.
Il divieto di patti leonini e i suoi confini applicativi
Il divieto di patti leonini, sancito dall’articolo 2265 del codice civile, rappresenta uno dei limiti fondamentali all’autonomia negoziale in materia societaria. La norma stabilisce la nullità di ogni patto con cui uno o più soci siano esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite. Questo principio riflette l’essenza stessa del contratto di società, che presuppone la comunione di scopo tra i partecipanti e la condivisione dei risultati economici dell’attività.
La recente giurisprudenza ha fornito importanti chiarimenti sull’ambito applicativo del divieto, distinguendo tra violazioni effettive e situazioni che, pur comportando squilibri economici, non integrano patti leonini. La Corte di Cassazione ha ribadito che la nullità si verifica esclusivamente quando l’esclusione dalla partecipazione agli utili o alle perdite sia totale e permanente, tale da svuotare completamente il contenuto della partecipazione sociale.
Non integrano patti leonini le clausole che creano vantaggi o svantaggi temporanei, condizionati o limitati. Ad esempio, sono state ritenute valide le clausole di indennizzo inserite in operazioni di conferimento di partecipazioni, quando prevedano che un socio compensi l’altro per eventuali sopravvenienze passive legate alla situazione patrimoniale antecedente al conferimento. Queste pattuizioni rispondono a finalità di garanzia e riequilibrio contrattuale, senza alterare la causa del contratto sociale.
Analogamente, non violano il divieto le clausole che garantiscono a un socio un rendimento minimo dell’investimento, purché limitate nel tempo e subordinate al verificarsi di determinate condizioni. La temporaneità dell’impegno e la sua natura accessoria rispetto al rapporto sociale principale escludono che si realizzi quella totale esenzione dal rischio che caratterizza i patti leonini.
La giurisprudenza ha anche affrontato la questione delle clausole che prevedono distribuzioni asimmetriche degli utili, stabilendo che non ogni squilibrio nella ripartizione integra un patto leonino. È infatti ammissibile che i soci concordino percentuali di partecipazione agli utili diverse dalle quote di capitale, purché nessun socio sia totalmente escluso. Tale flessibilità riconosce che i soci possono contribuire all’attività sociale in modi diversi, giustificando trattamenti differenziati nella fase distributiva.
Un’importante applicazione di questi principi riguarda gli accordi parasociali che prevedono meccanismi di protezione per gli investitori. Un fondo che entra nel capitale di una startup potrebbe negoziare clausole che gli garantiscano priorità nella distribuzione degli utili fino al recupero dell’investimento, oppure diritti di liquidazione preferenziale in caso di liquidazione della società. Queste pattuizioni sono considerate legittime se non escludono completamente il socio protetto dalla partecipazione ai rischi aziendali, ma si limitano a modulare la ripartizione secondo criteri concordati.
Il confine tra lecito e illecito richiede un’attenta analisi caso per caso, considerando non solo il tenore letterale delle clausole, ma anche gli effetti concreti che producono sul rapporto sociale. I professionisti che assistono nella redazione di patti parasociali devono prestare particolare attenzione a evitare formule che, pur apparentemente neutre, possano tradursi in una sostanziale esenzione dal rischio d’impresa per uno o più soci.
Efficacia obbligatoria e rimedi in caso di inadempimento
Una caratteristica fondamentale dei patti parasociali è la loro efficacia puramente obbligatoria, che non si estende oltre il cerchio dei sottoscrittori. Questa natura contrattuale comporta conseguenze rilevanti sul piano dei rimedi esperibili in caso di violazione degli impegni assunti.
Quando un socio contravviene agli obblighi derivanti dal patto parasociale, gli altri stipulanti possono richiedere l’adempimento o il risarcimento del danno secondo le regole generali del diritto delle obbligazioni. Tuttavia, la natura obbligatoria del patto implica che gli atti compiuti in violazione dello stesso mantengono piena validità ed efficacia sul piano societario. Ad esempio, se un socio vota in assemblea in difformità dagli impegni parasociali, il voto è validamente espresso e concorre alla formazione della delibera.
Questa scissione tra efficacia contrattuale e inefficacia reale ha suscitato dibattiti in dottrina e giurisprudenza circa i rimedi più appropriati. La Corte di Cassazione ha confermato che il creditore inadempiuto può agire per l’esecuzione specifica dell’obbligo, ove possibile, oppure per il risarcimento del danno. La quantificazione del danno deve tenere conto dell’interesse concreto leso, che può consistere nell’impossibilità di realizzare determinate strategie societarie o nella perdita di valore della partecipazione.
In alcune pronunce, i giudici hanno riconosciuto la possibilità di ottenere provvedimenti d’urgenza quando la violazione del patto parasociale determina un pregiudizio imminente e irreparabile. Tali misure cautelari possono consistere nell’inibitoria di determinati comportamenti o nell’adozione di provvedimenti conservativi, sempre nei limiti della tutela obbligatoria spettante alle parti del patto.
La giurisprudenza ha inoltre chiarito che la società stessa può essere parte di accordi parasociali, senza necessità di formule sacramentali o della cosiddetta “spendita del nome”. Quando la società partecipa al patto, essa assume obblighi diretti verso i soci stipulanti, potendo ad esempio impegnarsi a non compiere determinate operazioni o a rispettare specifiche procedure decisionali.
Un tema delicato riguarda la possibilità di prevedere clausole penali o caparre confirmatorie nei patti parasociali. Questi strumenti, ammissibili nell’ordinamento generale, possono essere utilizzati per rafforzare l’impegno delle parti e predeterminare le conseguenze economiche dell’inadempimento. La loro validità è subordinata al rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, potendo il giudice ridurre la penale manifestamente eccessiva.
La tutela dei diritti derivanti dai patti parasociali si complica quando emergano questioni di legittimazione attiva. La Cassazione ha chiarito che solo le parti del patto possono agire per farne valere il contenuto, mentre i terzi, inclusi altri soci non aderenti, restano estranei agli effetti dell’accordo. Questa regola subisce eccezioni quando il patto produca effetti favorevoli a terzi secondo lo schema del contratto a favore di terzo, nel qual caso anche il beneficiario può far valere i diritti attribuitigli.
Cause di nullità e limiti alla libertà negoziale
Nonostante l’ampio riconoscimento dell’autonomia delle parti nella configurazione dei patti parasociali, esistono limiti invalicabili che possono determinare la nullità totale o parziale degli accordi stipulati. L’individuazione di questi confini richiede un’attenta valutazione delle norme imperative e dei principi fondamentali dell’ordinamento societario.
Una prima categoria di nullità riguarda i patti che contrastano con norme di ordine pubblico o che perseguono finalità illecite. Ad esempio, sono nulli gli accordi che impongano ai soci di rinunciare preventivamente all’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori, in quanto tale rinuncia può essere validamente espressa solo dopo che il fatto sia stato compiuto e purché non sussistano opposizioni qualificate. Analogamente, sono invalide le clausole che obblighino i soci a non contestare mai le decisioni degli organi sociali, poiché ciò comprimerebbe inammissibilmente il diritto di impugnazione delle delibere invalide.
Un’importante pronuncia ha affrontato la questione della validità dei patti parasociali nelle associazioni temporanee di impresa. In questo contesto, la Corte di Cassazione ha stabilito che sono nulli gli accordi interni che prevedano una ripartizione dei lavori difforme dalle percentuali di partecipazione dichiarate nella documentazione di gara. Tale nullità deriva dalla frode alla pubblica amministrazione, poiché l’ATI si presenta all’amministrazione appaltante con determinate caratteristiche e percentuali di coinvolgimento che poi vengono disattese negli accordi interni tra i partecipanti.
La giurisprudenza ha inoltre evidenziato situazioni in cui clausole apparentemente lecite possano tradursi in vincoli inammissibili. Un esempio è rappresentato dalle clausole che impongano vincoli perpetui alla circolazione delle partecipazioni o che subordinino il trasferimento a condizioni puramente potestative dell’altra parte. Sebbene le limitazioni alla circolazione siano generalmente ammissibili, esse non possono tradursi in un divieto assoluto che svuoti di significato il diritto di alienazione.
Particolare attenzione meritano le clausole di gradimento per il trasferimento delle quote. La giurisprudenza distingue tra gradimento mero, rimesso all’arbitrio insindacabile della controparte, e gradimento motivato, che richiede l’indicazione di specifiche ragioni. Nelle società a responsabilità limitata, il gradimento mero è ammissibile entro certi limiti, mentre nelle società per azioni deve ritenersi generalmente illegittimo per le azioni nominative.
Un altro profilo critico riguarda i patti che incidono sui diritti amministrativi dei soci. Sono state ritenute nulle le clausole che vincolino in modo assoluto e perpetuo l’esercizio del diritto di voto, privando il socio di ogni margine di valutazione in relazione alle singole delibere. Al contrario, sono ammissibili i sindacati di voto che prevedano consultazioni preventive tra i soci per concordare l’orientamento da tenere in assemblea, purché mantengano un margine di libertà valutativa.
La nullità dei patti parasociali può essere parziale, colpendo solo le clausole invalide e lasciando efficaci le restanti pattuizioni, se queste sono autonomamente coerenti e idonee a realizzare un interesse apprezzabile delle parti. Questa regola, derivante dai principi generali del diritto contrattuale, trova applicazione anche in materia societaria, favorendo la conservazione degli accordi nei limiti del possibile.
I professionisti che assistono nella redazione di patti parasociali devono quindi operare un’attenta verifica preventiva della legittimità delle clausole proposte, valutando non solo la conformità letterale alle norme, ma anche gli effetti pratici che le pattuizioni sono destinate a produrre. L’equilibrio tra autonomia negoziale e rispetto dei vincoli imperativi rappresenta la chiave per la redazione di accordi efficaci e giuridicamente solidi.
Conclusioni
Le tematiche esaminate dimostrano come i patti parasociali costituiscano strumenti di grande utilità nella gestione dei rapporti tra soci, a condizione che siano strutturati nel rispetto dei principi fondamentali del diritto societario. La complessità delle questioni giuridiche coinvolte e l’evoluzione costante della giurisprudenza rendono indispensabile l’assistenza di professionisti specializzati per la redazione e l’interpretazione di questi accordi.
Ogni situazione imprenditoriale presenta caratteristiche uniche che richiedono soluzioni personalizzate, capaci di bilanciare le esigenze di flessibilità con le garanzie di certezza giuridica. Una consulenza qualificata permette di evitare clausole potenzialmente nulle, di prevenire contenziosi futuri e di massimizzare l’efficacia degli strumenti negoziali prescelti.
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