L’impugnativa dei bandi delle gare d’appalto.

L’impugnativa dei bandi delle gare d’appalto.

(Pietro Bisconti – Avvocato)

Natura giuridica.

Nel diritto italiano non esiste una definizione univoca ed esauriente di bando. Esso, perlopiù, viene definito, come atto di attuazione delle deliberazioni di contrarre (1).

Quanto, invece, alla sua natura domina l’orientamento secondo il quale va considerato come un provvedimento amministrativo alla stessa stregua di tutti gli atti della fase preparatoria del contratto, tant’è vero che viene riconosciuta la possibilità di impugnare autonomamente il bando qualora prescriva requisiti di partecipazione che impediscono al concorrente di prendere parte alla procedura di evidenza pubblica (2) (3).

La natura provvedimentale del bando si giustifica nel carattere pubblico del soggetto agente, nel carattere discrezionale dell’attività da questa posta in essere nella fase che precede il perfezionamento del contratto e nella cura dell’interesse pubblico che per tale via si vuole seguire (4).

Per una parte della dottrina esso assume i caratteri dell’offerta al pubblico (5), per un’altra parte, all’opposto, quella dell’invito ad offrire (6).

Sotto il profilo della natura negoziale può essere rilevata una prima distinzione tra bandi di gara e di concorso.

Mentre per i primi, infatti, sembra più opportuno parlare in termini di invito ad offrire, per i bandi di concorso, viceversa, la giurisprudenza tende a farli rientrare nell’ambito dell’offerta al pubblico, sebbene con talune peculiarità (7).

Al di là del dibattito intorno alla natura dei due tipi di bando, vi è sostanziale uniformità di opinioni nel ritenere che in entrambi i casi esso è fonte di interessi legittimi per i soggetti che hanno presentato la domanda di partecipazione, alla gara o concorso, mentre una volta terminata la fase selettiva le posizioni sostanziali dei concorrenti-candidati divergono sostanzialmente, proprio in ragione della specifica natura giuridica dei tipi di atti, allorquando l’ente da cui promana il bando non adempie all’obbligo di contrarre: se l’ente non assume il candidato risultato idoneo alla procedura di selezione si configura la violazione di un preciso obbligo giuridico discendente dall’accettazione, da parte del candidato, dell’offerta a contrarre contenuta nel bando dell’ente ed è, perciò, fonte per questo di responsabilità contrattuale; viceversa, nell’ipotesi di mancata stipula del contratto con il soggetto risultato aggiudicatario della gara la sanzione per l’ente, avendo il bando valore di invito ad offrire, rientra nell’ambito più ristretto della responsabilità precontrattuale (8).

Clausole obbligatorie e discrezionali.

Il bando consta di una serie di regole prefissate dalla normativa vigente in materia appalti, che costituiscono il suo contenuto minimo essenziale non derogabile, e da una serie di disposizioni elaborate discrezionalmente dall’Amministrazione appaltante.

Queste ultime sono ammesse per il fatto che vi possono essere casi o situazioni particolari nei quali è opportuno che la stazione appaltante abbia quelle cognizioni e quelle garanzie necessarie per il caso specifico.

Il contenuto minimo essenziale del bando è tratto, in buona sostanza, dai c.d. «bandi tipo», ovvero schemi di bando che il legislatore ha avuto cura di predisporre, pedissequamente alla normativa regolante il tipo di appalto, al fine da un lato di agevolare le stazioni appaltanti nella predisposizione dei bandi specifici ed evitare, per tale via, la pubblicazione di bandi incompleti o decisamente illegittimi, dall’altro, sintetizzare i requisiti, ovvero l’assenza di specifiche cause ostative, espressamente individuati dalla legge, che l’impresa concorrente deve possedere per partecipare alla procedura (9).

Per quanto riguarda i requisiti aggiuntivi, questi devono essere ragionevoli e pertinenti rispetto al fine di garantire la maggiore serietà del procedimento di gara e di consentire la scelta dell’offerta più rispondente all’interesse pubblico e non devono vulnerare il principio della par condicio dei concorrenti, nonchè il principio della massima partecipazione delle imprese aspiranti all’aggiudicazione (10), essi, inoltre, possono riguardare le modalità di funzionamento della commissione aggiudicatrice e le modalità di presentazione delle offerte.

Così sono state ritenute illegittime le prescrizioni dei bandi di gara per forniture che contengano l’esatta specificazione del modello e del marchio del bene richiesto o che, comunque, contengano clausole atte ad orientare l’acquisto verso un predeterminato fornitore e prodotto (11), oppure la clausola del bando di gara avente ad oggetto la copertura assicurativa della responsabilità civile gravante su una usl, nella parte in cui prevede l’obbligo della compagnia aggiudicataria di avvalersi dell’opera di un broker ai fini della gestione del contratto e dei sinistri (12).

Il potere discrezionale della P.A. di integrare, tramite il bando di gara, per gli aspetti non oggetto di specifica ed esaustiva regolamentazione, i requisiti di ammissione alle procedure di evidenza pubblica, deve in ogni caso raccordarsi con carattere di proporzionalità ed adeguatezza alla tipologia ed all’oggetto della prestazione per la quale è stata indetta la gara e non deve, inoltre, tradursi in un’indebita limitazione dell’accesso delle imprese interessate presenti sul mercato (13).

E’ stato autorevolmente osservato (14) che il presupposto della discrezionalità è in primo luogo il carattere funzionale del potere esercitato, da cui deriva l’obbligo che tale esercizio si effettui in modo da soddisfare la funzione.

Per tale via, sebbene con notevoli difficoltà di ordine interpretativo, la giurisprudenza determina l’illegittimità del bando, nella parte in cui prevede clausole travalicanti il normale esercizio del potere discrezionale della p.a., sotto il profilo dell’eccesso di potere allorquando la clausola censurata non è preordinata a soddisfare una ben precisa esigenza attinente la tutela degli interessi pubblici (15).

Interpretazione ed applicazione delle clausole del bando.

Seguendo l’orientamento giurisprudenziale e dottrinario maggioritario che riconosce al bando natura provvedimentale, ne consegue che le regole interpretative da utilizzare saranno quelle proprie di questa categoria di atti.

In verità, non esistono nel nostro ordinamento norme sull’interpretazione dell’atto amministrativo pertanto andrà effettuata un’operazione tecnica identica a quella che si adopera per l’interpretazione dell’atto normativo, dei trattati internazionali, del negozio privato (16).

Occorre, però, fare una preliminare distinzione avendo riguardo all’oggetto del sindacato giurisdizionale: quando questo investe le clausole del bando e quando, invece, il provvedimento che esclude (o ammette) alla gara alcuni soggetti.

Nel primo caso, la giurisprudenza afferma che il significato delle clausole del bando va desunto attraverso l’interpretazione logico-letterale delle clausole stesse integrate dall’applicazione delle regole sulla valutazione del comportamento delle parti e delle ulteriori, proprie dei bandi di gara e delle procedure concorsuali, quali il principio della massima partecipazione, la tutela della par condicio tra i concorrenti ed, infine, quella di attribuire alle clausole del bando un significato idoneo a realizzare l’interesse pubblico sostanziale cui la procedura di gara è preordinata, ovvero l’interesse alla scelta del migliore contraente (17)

L’interpretazione logico-letterale delle clausole del bando può essere integrata applicando le regole civilistiche della valutazione del comportamento delle parti (cfr. l’art. 1362 cod. civ.: «per determinare la comune intenzione delle parti si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto»); dell’interpretazione complessiva (cfr. l’art. 1363 cod. civ.: «le clausole si interpretano le une per mezzo delle altre attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto»; dell’interpretazione delle espressioni generali con riferimento all’oggetto dell’atto (cfr. l’art. 1364 cod. civ.: «Per quanto generali siano le espressioni usate nel contratto, questo non comprende che gli oggetti sui quali le parti si sono proposti di contrattare»); dell’interpretazione secondo buona fede (cfr. l’art. 1366 cod. civ.: «Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede»); dell’interpretazione conforme alla natura dell’atto (cfr. l’art. 1369 cod. civ.: «Le espressioni che possono avere più sensi devono nel dubbio essere intese nel senso più conveniente alla natura ed all’oggetto del contratto».

Tuttavia nell’interpretazione dell’atto amministrativo, rilevante in vista della funzione di pubblico interesse, ove la volontà della p.a. non presenti motivi di perplessità, non è consentito all’interprete ricorrere ad elementi extratestuali come invece è possibile nei negozi di diritto privato (18).

Corollario dell’anzidetta regola è che fra le diverse possibili interpretazioni del provvedimento amministrativo deve preferirsi quella che risulti conforme alla legge, in applicazione del generale principio della presunzione di legittimità dell’attività amministrativa, contrariamente a quanto avviene nel campo dell’interpretazione dei contratti di diritto privato dove è preferita quella che conduce alla validità del negozio, nei limiti del rispetto delle norme imperative, del buon costume e dell’ordine pubblico, anziché al suo annullamento.

La giurisprudenza ha poi elaborato ulteriori criteri interpretativi con specifico riguardo ai bandi di gara.

Tra questi criteri si annovera quello ispirato al principio della massima partecipazione al fine di giungere, nell’ambito di una maggiore schiera di concorrenti, alla individuazione del migliore contraente possibile per la p.a.. Così è stato ritenuto che in caso di incertezza delle clausole di gara, va prescelta l’interpretazione favorevole alla partecipazione alla procedura concorsuale, ovvero che le clausole del bando che prescrivono requisiti per la partecipazione alla gara, o la produzione di taluni documenti, senza, al contempo, prevedere espressamente l’esclusione dalla procedura in caso contrario, vanno interpretati nel senso di favorire la partecipazione alla gara del maggiore numero di imprese concorrenti (19).

Viene inoltre utilizzato il criterio di tutelare la par condicio tra i partecipanti quale garanzia delle scelte operate dalla p.a. nella procedura.

La casistica giurisprudenziale a riguardo è molto ampia, e va dalla valutazione dei requisiti richiesti, che devono essere posseduti dai concorrenti prima dell’aggiudicazione, al divieto per l’amministrazione di integrare il bando una volta pubblicato, al divieto per la commissione aggiudicatrice di introdurre in una procedura di gara un sistema d’individuazione delle offerte anomale diverso da quello indicato nel bando, comunque, contrastante con la disposizione di legge in esso richiamata (20).

Un altro criterio specifico utilizzato è quello di attribuire alle clausole del bando un significato idoneo a realizzare l’interesse pubblico sostanziale cui la procedura di gara è preordinata, cioè l’interesse alla migliore scelta del futuro contraente (21).

Più articolata è invece la risposta giurisprudenziale quando oggetto dello scrutinio è il impugnativa del provvedimento di ammissione (o esclusione) alla gara.

Fondamentalmente vengono distinte due ipotesi:

1. le clausole del bando di gara non prevedono espressamente la sanzione dell’esclusione dalla gara in caso di inosservanza delle stesse, ovvero sono formulate in modo equivoco e pertanto sono suscettibili di interpretazioni diverse;

2. le prescrizioni del bando di gara non sono ambigue, indicando chiaramente quando vanno osservate a pena di esclusione.

Nel primo caso la giurisprudenza è univoca nel ritenere che mancando la previsione espressa della sanzione della esclusione del concorrente per omissione o irregolarità nella presentazione dei documenti o dell’offerta, è possibile per l’interprete (il seggio di gara) operare una distinzione tra formalità o modalità di partecipazione alla gara, la cui inosservanza od omissione comporta o meno l’esclusione, adoperando i criteri interpretativi della massima partecipazione e della par condicio tra i concorrenti.

Nel secondo caso, ovvero nel caso in cui le modalità di presentazione dell’offerta, e della documentazione da allegare, sono previste dal bando a pena di esclusione, la giurisprudenza non è univoca.

Per una parte di essa al giudice amministrativo è inibito, in sede di giudizio di legittimità sul provvedimento di esclusione, ad operare una distinzione tra formalità invalidanti e non, quando il bando preveda espressamente l’esclusione dalla gara per inosservanza o errata applicazione delle clausole del bando.

La logica posta a fondamento di questo primo orientamento è molto semplice: se nel bando è chiaramente espressa una disciplina formale di gara vuol dire che l’Amministrazione ha già compiuto, redigendo il bando, una scelta discrezionale circa i criteri in base ai quali valutare l’adeguatezza e la completezza dell’offerta, pertanto il giudice può solo applicare tale disciplina, addirittura anche se riconosce, nel momento in cui applica la clausola, che questa è viziata o che l’Amministrazione è incorsa in errore nella formulazione del bando. (22)

Per altra parte della giurisprudenza, anche quando il bando di gara pone prescrizioni di partecipazione alla gara o di presentazione dell’offerta a pena di esclusione, al giudice ed alla p.a. è sempre riservata la possibilità di valutare la effettiva rilevanza di queste prescrizioni rispetto all’interesse sostanziale rappresentato dalla scelta del migliore contraente (23).

Tale canone ermeneutico, che si va ampiamente diffondendo, è stato adoperato soprattutto per mitigare le previsioni talvolta contenute nei bandi secondo cui «qualsiasi irregolarità o difformità dalle prescrizioni del bando di gara comporterà l’esclusione dalla gara». I giudici, in pratica, attribuiscono natura essenziale alle sole prescrizioni la cui violazione possa ragionevolmente influire sulla scelta dell’amministrazione ed affermano che, comunque, le prescrizioni del bando di gara devono ritenersi soddisfatte qualora, a prescindere dalle irregolarità formali, gli elementi offerti siano idonei a rappresentare all’amministrazione l’effettivo possesso dei requisiti legittimanti la partecipazione alla gara (24) ovvero che non possano fare sorgere dubbi circa la provenienza, genuinità e consistenza dell’offerta (25).

La valutazione delle irregolarità formali deve essere effettuata secondo il criterio di ragionevolezza che rappresenta il risvolto pubblicistico del modello del «buon padre di famiglia» più volte individuato nel codice civile.

Su questa linea è stato, ad esempio, il divieto di aggravio del procedimento di cui all’art. 1 comma 2 della legge 7 agosto 990 n. 241 (26).

La normativa sopravvenuta.

In merito agli effetti dello jus superveniens nell’ambito di una procedura di gara la giurisprudenza prevalente afferma che ove in questa fase si assista ad un mutamento di regime giuridico, a causa di una successione di leggi od anche di decadenze normative d’urgenza per mancata conversione, il canone ermeneutico applicabile è il principio generale del tempus regit actum (27).

Ciò vuol dire che il bando di gara, una volta adottato, continua a regolare le fasi della procedura anche se, medio tempore, è sopravvenuta una difforme normativa.

In taluni casi, pero, è riconosciuta alla stazione appaltante la facoltà di valutare il contenuto della normativa sopravvenuta al fine di ponderare lo stravolgimento che questa apporta all’assetto degli interessi che si intendono perseguire e, conseguentemente, provvedere in via di autotutela alla rimozione del bando (28).

Se tale principio appare pienamente condivisibile in termini generali, non lo è per l’ipotesi di decadenza di un d.l. non convertito.

Per questa ipotesi è stato evidenziato che occorre discernere se il decreto legge non convertito costituisce la fonte attributiva del potere oppure se esso determini solamente le modalità di esercizio di questo (29).

Nel primo caso si sarebbe in presenza di un atto emanato in carenza di potere, pertanto, nullo e disapplicabile; nell’altro caso, invece, l’atto adottato dall’amministrazione risulterebbe viziato e, dunque, annullabile in via giurisdizionale o in autotutela.

Anche una recente giurisprudenza (30) ha mosso critiche all’orientamento tradizionale del Consiglio di Stato in questo tema.

In particolare è stato osservato che il procedimento di gara non è caratterizzato da più fasi autonome subprocedimentali, talché la legge da applicare sarebbe solo quella in vigore al momento della definizione del procedimento , con conseguente rilievo dello jus superveniens e, comunque, anche a volere ammettere la possibile compresenza di fasi autonome, il principio del tempus regit actum postula la conservazione della vecchia norma per la fase procedimentale già esauritasi ma non certo la sua resistenza per la fase successiva durante la quale è intervenuto lo jus superveniens.

A ciò andrebbe aggiunto che nel nostro ordinamento un decreto legge non convertito, ex art. 77 Cost., spiega i suoi effetti decadenziali ex tunc, salvo che non siano stati fatti salvi da una legge, talché si ristabilisce la situazione giuridica anteriore all’emanazione del decreto legge poi non convertito.

Impugnazione in via giurisdizionale.

Le problematiche concernenti l’impugnazione del bando di gara hanno dato luogo a variegate prese di posizione.

Secondo l’orientamento tradizionale, seguito sia in giurisprudenza che in dottrina, dal bando di gara non discende l’immediata lesività delle posizioni giuridiche dei soggetti destinatari, cosicché l’impugnazione è consentita solo congiuntamente ai provvedimenti che ne danno applicazione (31).

Un altro orientamento, tuttavia, ritiene che qualora il bando contenga prescrizioni relative a requisiti che debbano essere posseduti a pena di esclusione al momento della presentazione dell’offerta, e ovviamente non posseduti dal concorrente, la cui efficacia preclusiva, quindi, sia in grado di arrecare una lesione diretta ed immediata, ai fini della partecipazione alla gara, esso è immediatamente impugnabile (32).

Deve segnalarsi, però, un terzo recente orientamento, che ammette l’impugnazione immediata del bando di gara allorquando il prezzo a base d’asta in esso stabilito sia ritenuto inferiore ai costi necessari all’esecuzione dei lavori o dei servizi, oppure quando il bando non offra tutti gli elementi, per consentire all’impresa di giudicare la convenienza a partecipare all’incanto e quindi di formulare un’offerta (33).

L’impostazione tradizionale trova fondamento nei principi che attegono l’impugnazione dei regolamenti.

Nella casistica giurisprudenziale le ipotesi più frequenti sono quelle che afferiscono le modalità di svolgimento della gara ovvero di funzionamento del seggio di gara (34).

E’ evidente come in tali fattispecie il bando non leda direttamente l’interesse dell’impresa concorrente a conseguire il bene della vita. La prescrizione illegittima contenuta nel bando verrà avvertita come lesiva dal soggetto concorrente solo quando la sua offerta non verrà giudicata: in questo momento nasce sia l’interesse che l’onere dell’impugnazione del bando e dell’atto applicativo entro i normali termini decadenziali.

L’atto applicativo, quindi, portando una capacità lesiva che discende da un vizio d’illegittimità del bando di gara, pretende una reazione da parte del concorrente escluso, non solo nei confronti dell’atto finale, ma anche del bando di gara da cui origina il comportamento illegittimo tenuto dalla p.a..

Viceversa, l’impugnabilità del bando immediatamente lesivo presuppone che esso prescriva il possesso di requisiti che, in quanto non posseduti dall’impresa concorrente, ne impediscano, ab origine, la partecipazione alla gara e, pertanto, siano avvertiti come immediatamente lesivi.

Il bando viene definito immediatamente lesivo quando estromette l’aspirante dalla stessa possibilità di partecipare alla gara, poiché prevede requisiti non posseduti da quest’ultimo.

Questo principio risulta pacificamente acquisito dalla giurisprudenza, la quale afferma che in presenza di clausole del bando che impediscano la possibilità di partecipare alla gara sussiste un’immediata lesione della posizione d’interesse del concorrente che consente l’immediata impugnativa del bando (35).

Sebbene il principio sia pacifico, non sono mancati tentativi di superamento dell’orientamento ritenuto eccessivamente rigido. In particolare è stato affermato (36) che la regola che impone la necessaria impugnazione immediata del bando lesivo possa essere superata sul presupposto che il soggetto leso da un bando illegittimo può sempre, senza rischio di decadere da tale facoltà, impugnarlo con l’atto applicativo con cui è stata data attuazione al bando.

Le argomentazioni espresse a sostegno d questa tesi, per la verità, appaiono poco convincenti, soprattutto nella parte in cui viene ritenuto che le regole previste dal bando di gara, essendo rivolte ad una generalità di destinatari, non sono in grado di incidere immediatamente e direttamente sulla loro sfera giuridica.

La natura di atto generale, implicando l’inidoneità ad indirizzarsi a destinatari specifici, priverebbe il bando dell’attitudine ad incidere negativamente sui soggetti privi dei requisiti richiesti per la partecipazione alla procedura.

Inoltre, la semplice pubblicazione del bando non offrirebbe la certezza che un determinato soggetto non potrà partecipare alla gara, poiché la p.a. potrà sempre decidere di non dare seguito alle clausole illegittime.

Sulla questione è da segnalare una pronuncia dell’Adunanza plenaria la quale, con l’ordinanza n. 1 del 4 dicembre 1998, ha ritenuto le argomentazioni sopra espresse prive di pregio e contrarie ad ogni principio del processo amministrativo ed, in particolare, ai principi in materia di regolamento soprattutto per quanto attiene l’impossibilità d’impugnazione dell’atto presupposto in mancanza di tempestiva impugnazione dell’atto presupposto, dovendosi ritenere prestata acquiescenza.

L’Adunanza plenaria ha inoltre contestato questo orientamento nella parte in cui riteneva che la p.a. avesse la facoltà di scegliere quali regole del bando applicare una volta preso atto che alcune di queste erano viziate. Il supremo Consesso amministrativo ha nell’occasione ribadito il consolidato principio dell’insindacabilità e dell’immodificabilità del bando di gara da parte degli organi chiamati a svolgere operazioni concorsuali e ad adottare gli ulteriori provvedimenti esecutivi (37).

Nell’ambito dell’impugnazione autonoma del bando di gara si è posto il problema, di carattere processuale, se ai fini dell’ammissibilità del ricorso il ricorrente debba comunque partecipare alla gara al fine di dimostrare e mantenere l’interesse alla pronuncia giurisdizionale.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario (38) il soggetto che non ha presentato domanda di partecipazione alla procedura di gara per l’aggiudicazione di un contratto non ha interesse ad impugnare le clausole del bando che stabiliscono i requisiti prescritti per l’ammissione alla gara stessa. Ciò in quanto la presentazione della domanda è il fatto che diversifica e qualifica la posizione del soggetto, abilitandolo a dolersi della clausola dalla quale si ritiene leso.

Secondo, invece, un orientamento giurisprudenziale minoritario (39) deve riconoscersi la legittimazione a ricorrere avverso un bando di gara, e l’annesso capitolato speciale, al soggetto che non abbia presentato la propria offerta, ogni volta che sia prospettata l’esistenza di clausole direttamente ed immediatamente lesive, tali, cioè, da impedire ex se la partecipazione alla gara, ovvero l’utile presentazione dell’offerta, in quanto costituenti clausole impossibili.

Sul solco di questa giurisprudenza minoritaria si situa una recente pronuncia del Tar Sicilia (40) con la quale è stato ritenuto ammissibile il ricorso presentato da un’impresa avverso un bando di gara, nella parte in cui prevedeva un prezzo a base d’asta giudicato dalla ricorrente incongruo, sebbene la ricorrente non avesse poi partecipato all’incanto.

In verità le pronunce innanzi citate, se condivisibili sul piano logico, non lo sono sul piano processuale soprattutto per gli effetti che esse producono nel complesso e delicato sistema dei pubblici appalti.

Questi ricorsi, in realtà, più che tendere all’annullamento del bando sovente sono preordinati alla paralisi della procedura di evidenza pubblica attraverso il conseguimento dell’ordinanza cautelare di sospensione, di cui si fa spesso un largo uso, con la conseguenza di mortificare da un lato il perseguimento dell’interesse pubblico all’individuazione del giusto contraente e, dall’altro, l’interesse delle altre imprese concorrenti.

Questi effetti distorsivi emergono con maggiore evidenza proprio nel caso in cui viene contestato il prezzo a base d’asta. In questa ipotesi, infatti, la sospensione cautelare di fatto avviene sulla scorta delle univoche affermazioni, qualche volta corroborate da consulenze più o meno di comodo, del ricorrente che vengono poste a fondamento della decisione cautelare.

Inoltre, così come affermato nella sentenza del Tar Sicilia, sede di Catania, l’ammissibilità del ricorso dovrebbe emergere dalla verifica del possesso in capo alla ricorrente di tutti i requisiti richiesti dal bando, quali quelli attinenti la capacità economica-finanziaria e tecnica, ai fini della partecipazione alla gara stessa.

Ora, è di tuta evidenza, che non sempre questi requisiti sono di facile accertamento e, comunque, non sempre sono desumibili dalla produzione documentale allegata al ricorso con la conseguenza che non sempre il giudice investito della questione è in grado di accertarne l’esistenza.

La conseguenza è che si finirebbe col dichiarare ammissibile un ricorso presentato da un’impresa che non era in possesso dei requisiti per partecipare alla gara. Nel frattempo, però, essendo stata concessa la misura cautelare, l’Amministrazione non ha potuto perseguire la finalità che si proponeva con la procedura concorsuale, ne’, tanto meno, gli altri potenziali concorrenti hanno potuto presentare le loro offerte.

Non bisogna, infine, dimenticare, che pronunce isolate di questo genere finiscono col favorire fenomeni, più volte stigmatizzati, quali le c.d.«migrazioni cautelari».

E’ da segnalare, inoltre, un ulteriore indirizzo giurisprudenziale (41) secondo il quale debbono essere immediatamente impugnate non solo le clausole del bando che stabiliscono i requisiti che il concorrente debba possedere per partecipare alla procedura, ma altresì, quelle clausole che fissano le modalità di funzionamento della commissione aggiudicatrice o le altre che pongono in essere criteri per la scelta del contraente allorquando risultano illogiche o ingannevoli tali, cioè, da porsi come ostacolo alla formulazione dell’offerta.

Per la verità, queste decisioni non hanno incontrato il favore né della dottrina, né della gran parte della giurisprudenza (42).

Le obiezioni che sono state mosse partono dal presupposto che il bando di gara non è immediatamente impugnabile perché, per quanto illogiche siano le clausole in esso contenute, la lesione potenziale diviene attuale soltanto nell’ipotesi di mancata aggiudicazione. Fino a quel momento l’esito sfavorevole della gara, seppur probabile, non è certo: la lesione di attualizza solo dopo l’eventuale esclusione.

I poteri di autotutela della p.a.

Anche in materia di bandi di gara la p.a. può esercitare il generale potere di autotutela.

L’autotutela può assumere la forma dell’annullamento o della revoca del bando.

L’Annullamento presuppone il riconoscimento da parte dell’Amministrazione di vizi di legittimità in capo al bando (43). Esso spiega i suoi effetti ex tunc, cosicché l’atto si deve considerare come mai esistito (44).

La revoca, invece, trova la sua causa o in vizi originari di merito o nella diversa valutazione che l’Amministrazione compie successivamente delle circostanze e dell’interesse pubblico o, infine, della sopravvenienza di nuovi fatti. Essa, comunque ha effetti ex nunc (45).

L’annullamento d’ufficio si attua per vizi di legittimità in relazione ad un interesse pubblico concreto ed attuale mentre la revoca è un provvedimento con il quale la pubblica amministrazione ritira, con efficacia non retroattiva, un atto inficiato da vizi di merito, ritenuto inopportuno in base ad una nuova valutazione degli interessi spiegati.

Comune ad entrambe le fattispecie è la necessità sia dell’informazione dell’avvio del procedimento, sia della congrua motivazione in ordine al potere esercitato.

Per ciò che concerne l’informazione dell’avvio del procedimento occorre distinguere il momento in cui l’autotutela viene esercitata.

Infatti, l’art. 7 della legge n. 241 del 1990, nel prescrivere che l’avvio del procedimento amministrativo venga comunicato ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi nonché agli altri soggetti, individuati o facilmente individuabili, che possano subirne pregiudizio, pone al contempo un preciso onere in capo alla p.a. di individuazione di coloro che subiranno un pregiudizio da quella attività amministrativa.

La giurisprudenza è orientata a riconoscere tale obbligo solamente nei confronti di coloro che già vantano una posizione giuridica sostanziale come, ad esempio, l’aggiudicatario provvisorio della gara (46).

I pronunciamenti non sembrano, in questo senso, pienamente condivisibili poichè, mentre è da escludere che l’Amministrazione abbia un obbligo di informazione prima dell’apertura della gara, tale obbligo dovrebbe nascere nel momento in cui i concorrenti abbiano formalizzato la loro volontà attraverso la presentazione dell’offerte in ragione del fatto che, comunque, a questi vada riconosciuta una posizione qualificante in ordine al procedimento di autotutela.

Se, infatti, la ratio della norma è quella di consentire a soggetto destinatario dell’avviso di presentare deduzioni in ordine alla salvezza dell’atto censurato, e quindi, di concorrere, indirettamente, al perseguimento di un interesse pubblico a maggior ragione colui che si propone di diventare il contraente della p.a. ha titolo per partecipare al procedimento in questione.

Tale dovere d’informazione è poi più precipuo nell’ipotesi che già si sia giunti all’individuazione di un aggiudicatario, seppure provvisorio.

Il dovere d’informazione, infatti, non può trovare limitazione nella circostanza che sovente a partecipare alle gare siano diverse decine di concorrenti, per tale ragione non è giustificabile un comportamento omissivo della p.a..

La norma, infatti, parla di soggetti individuati o individuabili che possano subire un pregiudizio dall’atto (di annullamento o di revoca).

L’obbligo dell’informazione dell’avvio del procedimento è congiunto alla necessità da parte della p.a. di condurre un’adeguata istruttoria e, conseguentemente di motivare congruamente il provvedimento.

In assenza di questi requisiti la discrezionalità concessa all’Amministrazione di procedere in via di autotutela all’annullamento o alla revoca del bando prenderebbe le vesti dell’arbitrio, chiaramente lesivo delle legittime aspettative dei concorrenti (47).

L’atto amministrativo trova espressa giustificazione nelle ragioni fattuali poste a suo fondamento, le quali, a loro volta, refluiscono necessariamente nella motivazione ai sensi dell’art. 3 l. 7 agosto 1990 n. 24 (48), cosicché anche l’atto di revoca o di annullamento postula sia una adeguata motivazione, sia l’evidenziazione dell’esistenza di un pubblico interesse attuale e specifico alla sua adozione, diverso dal mero ripristino della legalità (49).

Il giudizio sulla congrua motivazione può essere condotto anche ex post, ovvero confrontando il nuovo bando con quello revocato od annullato.

Solo se il nuovo bando contiene sostanziali differenze rispetto al precedente l’atto di autotutela può considerarsi legittimo, altrimenti esso si pone come elemento di lacerazione del principio della par condicio e della imparzialità dell’azione amministrativa (50).

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(1) D. Bartolotti, Digesto, voce Contratti della pubblica amministrazione, Vol. IV, 46, Torino, 1992.

(2) Tar Sardegna, 26 giugno 1989 n. 512, in Foro it., 1991, III, 103; Tar Veneto, Sez. I, 8 luglio 1989 n. 582, ivi, III, 104.

(3) G. Roehrssen, I contratti della pubblica amministrazione, Bologna, 1959, 142; Tozzi, La scelta del contraente privato nell’attività contrattuale della p.a., in Foro amm., 1975, II, 381; G. Falcon, In tema di posizioni giuridiche soggettive nei contratti della pubblica amministrazione, in Foro amm., 1971, II, 1982; S. A. Romano, Contratti statali, in Dizionario amministrativo, diretto da G. Guarino, I, Milano, 1983, 756.

(4) Il bando, infatti, conserva la sua natura pubblicistica anche se promana da un privato concessionario di opera pubblica: v. E. Cannada Bartoli, In tema di gara del concessionario di costruzione, nota a Cons. Stato, Sez. V, 21 ottobre 1991 n. 1250 in Giur. it., 1992, III, 255.

(5) M. S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993, II, 368, tanto che secondo l’Autore quando si parla di «impugnativa del bando di gara» si usa una locuzione impropria perché di regola l’impugnativa investe la delibera a contrattare; A. M. Sandulli, Diritto amministrativo, Napoli, 1989, 663.

(6) G. Greco, I contratti della pubblica amministrazione tra diritto pubblico e privato, Milano, 1986, 33; A. Tabarrini, Il bando di gara, in Riv. trim. app, 1991, II, 507 che qualifica il bando come iniziativa posta in essere dalla p.a. per acquisire una proposta dall’altra parte. V., anche, in giurisprudenza Cass. Civ., Sez. I, 23 gennaio 1967 n. 200, in Cons. Stato, 1967, II, 419, secondo cui le norme giuridiche concernenti i contratti degli enti pubblici prescrivono che, anche quando sia l’ente a prendere l’iniziativa della negoziazione, questa iniziativa non debba assumere il carattere di una proposta ma di un semplice invito ad offrire.

(7) Cass. Sez. Un., 10 gennaio 1986 n. 63 in Giur. It., 1987, I, 742; Cass. Civ., Sez. Lavoro, 14 marzo 1990 n. 2057, in Rep. For. It., 1990, voce «Lavoro (rapporto)», n. 1613; Id. 6 ottobre 1995 n. 10500 in Giur. it., 1997, I-1-257, con nota di G. Riganò, La natura giuridica del bando di concorso. Per superare le critiche mosse a questa ricostruzione sistematica ovvero  che l’offerta al pubblico è strutturalmente e funzionalmente preordinata a rendere indifferente la persona dell’altro contraente, ben diversamente da quanto avviene nei concorsi, dove il vincitore deve essere colui che meglio risponde ai requisiti del bando e che il modello dell’offerta al pubblico conduce direttamente alla stipulazione del contratto, mentre l’oggetto del concorso non è il contratto di lavoro la partecipazione ad una serie di atti finalizzata alla individuazione del lavoratore da assumere, la giurisprudenza ha precisato che il bando di concorso va qualificato come offerta di contratto sottoposto alla condizione sospensiva del superamento delle prove, mentre la domanda di partecipazione al concorso va vista come manifestazione del consenso. Inoltre, per evitare che il contratto si perfezioni fin dal  momento della presentazione della domanda, è stato precisato che l’offerta al pubblico vincola il proponente solo nei confronti di coloro che risultino vincitori.

(8) P. Evangelista, Le procedure dei concorsi nella pubblica amministrazione, Milano, 1990, 20

(9) Si veda, ad esempio il D.P.C.M.  10 gennaio 1991 n. 55 con il quale, in attuazione dell’art. 17 della legge n. 55 del 1990, sono state definite le disposizioni per garantire l’omogeneità dei comportamenti delle stazioni appaltanti relativamente ai contenuti dei bandi, gli avvisi, i capitolati speciali e le qualificazioni dei soggetti partecipanti alle gare.

Il sistema dei bandi tipo, però, da un lato necessita di continui interventi normativi al fine di predisporre clausole sempre più dettagliate ed adeguate all’evoluzione legislativa e giurisprudenziale, dall’altro, provocando un appiattimento su schemi rigidi e formalistici, finisce col deresponsabilizzare il funzionario responsabile del settore e, conseguentemente, col non rendere efficace l’azione amministrativa. Sull’argomento v. R. Rametta, Il bando tipo ex art. 17 legge n. 55 del 1990, in Riv. trim. app., 1993, I, 34.

(10) A. Tabarrini, Il bando di gara, in Riv. Trim. App, n. 2/1991, 514. Cons. Stato, Sez. VI, 27 dicembre 2001 n. 6424 e Tar Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 31 gennaio 2201 n. 100, in questa Rivista; Tar Puglia, Lecce, Sez. II, 11 marzo 1999 n. 174; Tar  Campania, Napoli, Sez. I, 25 gennaio 1999 n. 149; Tar Basilicata, 31 dicembre 1998 n. 468.

(11) Tar Sicilia, Palermo, Sez. I, 13 dicembre 1997 n. 2108 in Giust. amm. sic., 1998, 157.

(12) Tar Friuli Venezia Giulia, 24 novembre 1995 n. 447 in Trib. amm. reg., 1996, I, 158.

(13) Tar Lazio, Sez. I, 1° marzo 2002 n. 1577, in questa Rivista.

(14) C. Mortati, Note sul potere discrezionale, Roma, 1936.

(15) M. E. Schinaia, Il controllo del giudice amministrativo sull’esercizio della discrezionalità della pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm., 1999, 4, 1108.

(16) M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Vol. 1, Milano, 1970, 604.

(17) Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 1985 n. 335; Sez. VI, 13 aprile 1991 n. 182; Sez. V, 25 ottobre 1989 n. 688; Tar Marche, 11 maggio 1990 n. 196; Tar Lomardia, Brescia, 3 febbraio 1984 n. 25.

(18) G. Pifferi, Interpretazione dell’atto amministrativo, in Amm. It., 1994, 2, 258. Sui criteri ermeneutici v. Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 1985 n. 335 in Giur. it., 1986, III, 1.

(19) Tar Sicilia, Palermo, Sez. I, 6 ottobre 1998 n. 1927 e 25 giugno 1998 n. 1242 in Giust. amm. sic., 1998, 1010 e 480; Tar Friuli Vanezia Giulia, 31 dicembre 1987 n. 395 in Arch. giur. oo. pp., 1987, 1937.

(20) Cons. Stato, Sez. VI, 23 febbraio 1999 n. 192 in Foro amm., 1999, 403; Tar Basilicata, 27 maggio 1999 n. 180 in Trib. amm. reg., 1999, I, 2879; Tar. Puglia, Sez. II, 03 aprile 1996 n. 206 in Foro amm., 1997, 278.

(21) Ad esempio, si è ritenuto che non dovesse comportare l’esclusione dalla gara il mancato adempimento di della prescrizione, cui il bando non commetteva la sanzione dell’esclusione, di presentare la documentazione antimafia entro un certo termine dalla aggiudicazione provvisoria. Cfr., Tar Marche, 11 maggio 1990 n. 196, in Arch. giur. oo. pp., 1990, 940; Tar Sicilia, Catania, Sez. I, 28 gennaio 1988 n. 58 in Foro amm., 1988, 701 per quanto riguarda la produzione dell’attestazione di buona esecuzione di un lavoro analogo rilasciato da un ente privato anzichè da una pubblica amministrazione.

(22) Cons. Stato, Sez. V, 20 gennaio 1992 n. 47; Sez. V, 6 marzo 1991 n. 204; Sez. IV, 14 marzo 1990 n. 182; Cons. Giust. Amm., 2 marzo 1991 n. 71.

(23) Cons. Stato, Sez. IV, 12 luglio 1985 n. 3345.

(24) A. Crisafulli, nota a Cons. Stato, Sez. IV, 12 febbraio 1997 . 105 e Sez. V, 7 febbraio 1997 n. 134, in Urbanistica ed appalti, 1997, 9, 1032; Cons. Stato, Sez. IV, 14 marzo 1990 n. 182 in Riv. giur. edil., 1990, I, 725; Cons. Stato, Sez. VI, 25 settembre 1995 n. 966 in Foro amm., 1995, 1928.

(25) Tar Calabria, 24 febbraio1999 n. 236 in Trib. amm. reg., 1999, I, 1559.

(26) Cons. Stato, Sez. IV, 23 novembre 1995 n. 1325 in Urbanistica ed appalti, 1997, 5, 459.

(27) Cons. Stato, Sez. V, 30 ottobre 1997 n. 1209, in Cons. Stato, 197, I, 1405; Tar Campania, Napoli, Sez. I, 6 dicembre 1996 n. 586 e Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 29 novembre 1996 n. 1718 in Trib. amm. reg., 1997, I, 665 e 1997, I, 98.

(28) Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 3 novembre 1999 n. 576 in Cons. Stato, 1999, I, 1950.

(29) F. SORRENTINO, Manuale di diritto pubblico, a cura di G. Amato e A. Barbera, Milano, 1996, 147.

(30) Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 29 dicembre 1997 n. 2239 in Trib. amm. reg., 1998, II, 133; Tar Calabria, Catanzaro, 22 dicembre 1997 n. 777 in Urbanistica ed appalti, 21/1998, 164.

(31) Cons. Stato, Sez. V, 3 settembre 1998 n. 591; Sez. VI, 18 ottobre 1993 n. 735; Sez. IV, 8 settembre 1997 n. 974.

(32) La casistica è ampia: va dalla previsione di avere un volume d’affari pari ad un certo numero di volte dell’importo a base d’asta, avere svolto lavori per determinate amministrazioni, possedere un certo numero di mezzi, obbligo di produrre, in sede di presentazione dell’offerta, determinate dichiarazioni o certificazioni.

Cons. Stato, Sez. V., 29 gennaio 1999 n. 90; Sez. V., 14 luglio 1997 n. 821; Tar Sicilia, Catania, Sez. I., 5 maggio 1994 n. 825.

(33) Tar. Catania, Sez. II, 29 gennaio 2002 n. 148, cit.

(34) Cons. Stato, n. 735/1993, con riferimento alle regole riguardanti l’aspetto procedurale della gara, che saranno impugnabili solo successivamente, in seguito all’atto di esclusione adottato in applicazione delle stesse; Tar Piemonte n. 390/1992, con riferimento alle regole che si riferiscono alla composizione della commissione aggiudicatrice; Tar Umbria n. 57/2001 con riferimento ai poteri istruttori della commissione aggiudicatrice, delegabili ad un membro di essa a condizione che la decisione circa l’ammissione od esclusione sia sempre collegiale.

(35) Cons Stato, Ad. Plen., n. 1/1998, Sez. V, n. 775/1993; Tar Piemonte, n. 390/1992.

(36) Cons Stato, Sez. IV, ord. 10 aprile 1998 n. 582, non mass.

(37) Sul carattere autovincolante del bando per la p.a. vedi Cons. Stato, Sez. VI, 18 dicembre 1999 n. 2095; Tar Lombardia, Brescia, 24 aprile 1996 n. 496; Cons. Stato, Sez. II, parere 7 marzo 2001 n. 149; Cons. Stato, Sez. V, 3 febbraio 1997 n. 134.

(38) Cons. Giust. Amm., 3 novembre 1999 n. 572; Cons. Stato, Sez. V, 7 ottobre  1998 n. 1418 e 3 gennaio 2002 n. 6.

(39) Tar Puglia, Bari, Sez. II, 17 settembre 1996 n. 552; Tar Sicilia, Catania, Sez. II, 31 agosto 1998 n. 1408; Tar Lazio, Sez. II, 26 aprile 2000 n. 3412.

(40) V. sub  nota 18.

(41) Cons. Stato, Sez. V, 23 maggio 2000 n. 2990; 17 maggio 2000 n. 2884.

(42) R. Villata, Novità in tema di impugnative delle gare contrattuali dell’Amministrazione?, in Dir. proc. amm., 1999, 912; Tar Veneto, Sez. I, 4 marzo 2000 n. 766.

(43) Cons. Giust. Amm., parere 16 febbraio 1993 n. 40/93 in Giur. amm. sic., 1993, 539.

(44) Tar  Sicilia, Catania, Sez. 1, 7 marzo 1998 n. 429 in Giust. amm. sic., 1998, 561.

(45) Cons. Giust. Amm. Sic., 23 dicembre 1999 n. 666 in Cons. Stato, 1999, I, 2192; C. Stato, sez. II, 27 settembre1995 n. 1969 in Cons. Stato, 1998, I, 1459; Cons. Stato, Sez. V, 19 maggio 1998, n. 633 in Appalti urbanistica edilizia, 1999, 87.

(46) Tar Lazio, Sez. I, 12 ottobre 1999 n. 2248.

(47) Cons. Stato, Ad. Plenaria, 12 dicembre 1992 n. 20; Cons. Giust. Amm., 8 agosto 1998 n. 457; Tar Sicilia, Catania, Sez. I, 8 novembre 1994 n. 2485 e 7 novembre 2000 n. 2074.

(48) Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 2000 n. 1558 in Cons. Stato, 2000, I, 646.

(49) Cons. Stato, sez. V, 24 ottobre 2000 n. 5710 in Cons. Stato, 2000, I, 2313

(50) Sono stati considerati illegittimi l’atto di revoca di una bando di gara di appalto di lavori ed il successivo bando di indizione di una nuova gara con contenuto e clausole pressocchè identiche a quelle del bando revocato. Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 gennaio 2000 n. 244, in questa Rivista.
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